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Fra
cinquecento e settecento
La data del 1495 non è
la sola di un decennio che segna una svolta più generale
nella storia della città. Nel 1492 l'editto di Ferdinando
il Cattolico espelle da tutti i territori della Corona gli
ebrei: è una perdita dura per Alghero, che nel nucleo
delle famiglie ebraiche ha un motore fondamentale della sua
economia. Nel 1501 Alghero è proclamata città,
ciutat, da una decisione del re. Subito dopo la bolla di Giulio
II (8 Dicembre 1503) che riorganizza il sistema dei vescovadi
in Sardegna accorpa in una sola diocesi, che avrà sede
in Alghero, le antiche diocesi di Castro, Bisarcio e 0ttana.
Alghero si trova così a possedere uno statuto "ufficiale"
di città, che conferma quel ruolo che del resto il
centro era venuto sempre più decisamente assumendo
lungo tutto il Quattrocento, quando Alghero era stata, dopo
Palermo, il più importante centro marittimo-commerciale
del Regno. E' a questa ripresa economica che è legato
- secondo lo storico dell'arte Aldo Sari - "l'impianto
urbano all'interno delle mura".E insieme si viene definendo
come un insieme organico la serie di cortine, bastioni e torri
che circondano la città. Sono circa 1500 metri di mura
bastionate, con una torre ogni 50-60 metri, a portata utile,
cioè, d'un dardo scagliato a balestra, intervallate
da due sole porte principali, una Porta a Mare, che conduce
alla parte più riparata del porto attraverso un breve
passaggio che parte direttamente dalla Placa del Pou vell,
la "piazza del pozzo vecchio", dove sorge l'elegante
palazzo della famiglia Ferrera, poi degli Albis (da una di
queste finestre si affaccerà Carlo V durante la sua
visita: la Municipalità ricorderà l'evento apponendo
una lapide sulla parete e facendo murare la finestra), e una
Porta Terra (o Porta Real), che collega la città-fortezza
col suo più immediato retroterra. Le torri più
importanti sopravvivono ancora oggi: partendo dalla Porta
a mare e muovendo verso ovest e poi verso sud, sorgono ancora
la torre di Sant Elmo o torre de Castilla, inglobata
in una sopraelevazione della muraglia, che qui piega verso
sud verso il bastione Mirador, per terminare nella Torre di
san Giacomo (Tor de sant Jaume), dove il bastione piega nuovamente
ad ovest, verso la Torre dello Sperone (Tor dell'Espero Reial,
già esistente nel 1364 ma risalente nella sua struttura
attuale, come gran parte del sistema difensivo algherese ai
diversi rimaneggiamenti e ai restauri delletà
spagnola).Di qui le mura, di cui restano soltanto poche tracce
dopo che furono abbattute, per l'ampliamento della città,
a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, volgevano
con un terrapieno, cui era addossata la Torre di San Michele,
e in cui s'apriva la Porta Reale, diventata poi Porta a Terra,
a ridosso dell'antica Torre di San Joan, costruita a proprie
spese dagli ebrei negli anni intorno al 1360.
Di qui il possente bastione de La Maddalena scende verso il
porto, su cui s'affaccia anche la Torre angolare della Maddalena.E'
un possente e articolato sistema di fortificazioni che, nonostante
le distruzioni a cavallo del Novecento, segna ancora con la
sua impronta l'immagine generale: della città. Intanto
il tessuto urbano si veniva infittendo di chiese e palazzi
nei quali il gotico di Catalogna non è, come in tanti
altri monumenti isolani, un fatto di "acclimatazione"
d'uno stile sostanzialmente esportato fuori del suo luogo
naturale, ma la ricreazione diretta, da parte di artigiani
e costruttori di cultura catalana, di esperienze della madrepatria
che la gran parte di loro aveva avuto modo di fare di persona.
Fra le costruzioni civili, oltre la casa De Ferrera (o d'Albis,
poi De Arcayne), palazzi signorili d'impronta gotica sorgono
nei punti-chiave della città, come il palazzo dei Carcassona
a via sant'Erasmo, la cosidetta Casa dei Doria, con le originali
trine imitate in calcare alle sue finestre, la Casa Manno
(dove nacque l'illustre storico algherese), risalente alla
seconda metà del Cinquecento, la facciata della Casa
Peretti, già Guiò y Duran, costruita a cavallo
fra Quattro e Cinquecento.
Di questa originalità catalana dellarchitettura
religiosa algherese sono testimonianze importanti il campanile
esagono del convento di San
Francesco e quello ottagono del Duomo, così come
- sono ancora notazioni di Aldo Sari - è assolutamente
catalana la pianta tardogotica del convento di San Francesco.
Il campanile fu costruito fra il 1490 e il 1525, mentre il
resto della chiesa, come noi oggi la conosciamo, fu riedificato
dopo il 1593, su modelli manieristici, dopo un crollo che
l'aveva gravemente danneggiata. Negli stessi anni fu iniziata
la costruzione del Duomo, anche se alla fase degli anni 1562-1579
appartengono soltanto il campanile e le cappelle radiali (la
consacrazione della Cattedrale,
a causa delle difficoltà economiche, si avrà
soltanto molto più tardi, nel 1730, mentre agli inizi
dell'Ottocento sarà sovrapposto alla facciata un pronao
d'ispirazione neoclassica che ne ha alterato 1' insieme).
E' questo l' impianto generale della città che Carlo
V vide quando fu qui per due giorni nel corso del suo viaggio
verso l'impresa d'Algeri. L'imperatore arrivò a Porto
Conte il 6 ottobre. Il 7 approdò ad Alghero, addobbata
a festa, lungo le cui mura si fece portare su una piccola
barca, quasi ad ispezionarne le fortificazioni (e intanto
i suoi soldati s'impadronivano dei drappi con cui era stato
adornato il piccolo imbarcadero preparato per lui). L'imperatore
andò a caccia del cinghiale, uccidendone uno; pregò
nella chiesa maggiore; girò a cavallo per la città,
soffermandosi a guardarla dall'alto di una breve altura; s'affacciò
dalla finestra della Casa De Ferrera a vedere la rusticana
corrida nel corso della quale I suoi soldati catturarono,
"torearono" e uccisero circa 200 capi di bestiame
preparati per l'approvigionamento della flotta; e pieno d'entusiasmo
gridò (così almeno dice la leggenda municipale)
"Estode todos caballeros", siate tutti cavalieri.
In realtà l'imperatore concedette solo tre piccole
onorificenze. Ripartì lindomani subito dopo mezzogiorno.
I pericoli sempre incombenti sulla città sono, in questo
periodo, le carestie (come quelle del 1593 e quelle del 1647,
1652 e 1687, conseguenti alla plaga de la llangosta, l'invasione
delle cavallette) e le pestilenze. La prima grande epidemia
è segnalata nel 1424 (occorse mandare nuovi coloni
a restaurare i vuoti che s'erano creati nella popolazione),
nel 1477, nel 1528 e, più grave delle precedenti, nel
maggio 1582: il drammatico percorso della malattia sarà
descritto da un valente medico napoletano, Quinto Tibèrio
Angelerio, già medico dell'imperatrice Anna d'Austria.
L'anno dopo il sindaco di Alghero dichiarerà al Parlamento
che nella città erano morte 6 mila persone.Ma più
grave ancora sarà la peste del 1652, che dura quasi
quattro mesi e distrugge circa la metà dell'intera
popolazione, diffondendosi poi in tutta l'isola.
I censimenti registrano puntualmente questi flussi e riflussi
della popolazione: mentre nel 1589 (dopo la prima grande peste,
dunque) gli abitanti di Alghero erano circa 3.400-3.800 (corrispondenti
ai 768 fuochi censiti) e nel 1627 circa 4.900-5.100 (corrispondenti
a 1003 fuochi censiti ), la popolazione precipita, dopo la
peste del 1652, a 437 fuochi (circa 2.200 abitanti) per risalire
lentamente a 644 fuochi (circa 3.250 abitanti) nel 1667, poco
prima che una nuova, terribile carestia, quella del 1681-82
segni un nuovo arresto. Alla fine del secolo, con 964 fuochi
(circa 4.870 abitanti), la popolazione non ha ancora raggiunto
i livelli di settant'anni prima.Queste epidemie insieme con
la fine della legislazione "catalanizzante", modificano
profondamente la composizione della popolazione, che mentre
si articola ulteriormente in conseguenza dell 'articolarsi
dell'economia, contemporaneamente vede aumentare il suo tasso
di sardità o, comunque, di non-catalanità. E'
per la prima volta dopo la peste del 1582 che la percentuale
dei cognomi sardi dei battezzati supera quella dei cognomi
catalani, passando alla fine del secolo intorno al 60 per
cento. Nel 1665, a dieci anni dalla grande peste del 1652,
questa percentuale salirà al 71,2 per cento. |
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