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La
lunga crisi
La storia di Alghero dopo la conquista
catalana è una storia di crisi, di lente riprese, di
abbattimenti improvvisi.
In realtà, l'Alghero che Pietro IV vuole catalanizzare
è un centro che somiglia già ad una vera e propria
cittadina, "dalla vivace attività mercantile e
dall'articolata struttura sociale", come ha scritto Marco
Tangheroni. Quella che gli aragonesi ereditano dopo la conquista
è invece una città in cui la stessa crisi indotta
dalla guerra, dal malessere politico interno, dai difficili
rapporti fra vecchi abitatori e nuovi conquistatori, dalle
difficoltà stesse del nuovo popolamento finirà
per costituire il dato strutturale d'una difficile operazione
di innesto, su una realtà etnica, economica e civile
già formata, di una nuova cultura d'importazione, in
cui ai nuclei di popolatori catalani sarà affidato
quasi per intero il compito di ridare vita ad un'economia
che deve fare fronte, per quasi un secolo, anche al drammatico
clima di guerra che caratterizzerà la lunga opposizione
degli Arborea alla presenza d'Aragona sull' isola.Se si vuole
popolare la villa, scrivono nel 1357 i prohomens della rocca,
bisogna concedere ai futuri abitatori d'Alghero privilegi
ed immunità come se si recassero "in una terra
deserta". E la terra è veramente deserta, se si
sta ad alcune cifre conservateci dai documenti: in quell'anno
ci sono ad Alghero soltanto una quarantina di famiglie, e
i redditi della dogana, che erano valutati a 18 mila lire
negli ultimi anni della presenza doriana, sono scesi in questo
anno a 300 lire. Risaliranno col tempo, ma molto lentamente:
nel 1450, a un secolo esatto dalla conquista, saranno ancora
soltanto 1450 lire.Ci sono, poi, le difficoltà della
guerra tra sardi e aragonesi, mentre i piccoli nuclei superstiti
di filogenovesi, ancora presenti in Alghero, chiedono ancora
aiuto a Genova. Alghero, del resto, è al centro di
una lunga controversia ad arbitro della quale Pietro IV e
Genova hanno eletto Giovanni II di Monferrato, che quando
non riuscirà a piegare Pietro IV a consegnare Alghero
in attesa della risoluzione della causa, rinuncerà
ad occuparsene, ma pubblicando, nel 1362, la sua sentenza:
Pietro IV avrebbe dovuto consegnare la città ai genovesi
entro quattro mesi o pagare un'ammenda di 100 mila fiorini.Nel
resto dell'isola infuria ormai la grande guerra sardo-aragonese:
le armate del giudice, vittoriose nella battaglia di Oristano
(1368), rimetteranno in ballo l'intera conquista. Il 28 marzo
del 1370 Mariano pone il campo fra Monteleone e Alghero, che
lamenta anche una dura scarsità di scorte alimentari.
Brancaleone Doria difenderà la città dall'attacco
dei "ribelli sardi", ma solo la morte di Mariano
e, successivamente, la morte di sua figlia Eleonora porrà
Alghero al riparo da nuove minacce. Ma per poco, perché
all'inizio del Quattrocento il visconte di Narbona, che si
proclama erede dei diritti degli Arborea sulla Sardegna, tenterà
di occupare Alghero con l'aiuto dei sassaresi. Il visconte
assalta la rocca nella notte fra il 5 e il 6 maggio, con 300
cavalieri e 150 balestrieri, fra i quali sono anche degli
uomini forniti dal Comune di Sassari, che ha riconosciuto
la sua autorità. Gli algheresi si difendono strenuamente,
e il visconte è duramente battuto: uno dei suoi comandanti,
conosciuto come "el bastart de Saboya" (la leggenda
dice che fosse un figlio naturale del Conto Rosso di Savoia),
sarà decapitato sulla piazza. Per anni, nel giorno
di San Giovanni di Porta Latina (ma secondo altre fonti il
25 maggio) gli algheresi celebreranno il ricordo di quella
vittoria bruciando un pupazzo di paglia vestito da soldato
francese e cantando delle strofette, "le cobles del visconte
di Narbona" che di lì a qualche secolo verranno
proibite per non attizzare nuove rivalità con Sassari.Ma
intanto la colonia, fra piccoli sussulti di guerra e grandi
difficoltà (carestie devastanti, le prime invasioni
della peste nera), continua a crescere, radicando sempre di
più nel suo humus quella "catalanità"
che vi portano i nuovi abitatori, pure sospinti da allettamenti
ambigui come quelli dei guyatges, dei salvacondotti che cancellano
le pene a chi accetti d'andare oltremare e talvolta fortemente
decisi a ritornare subito in patria (tanto che si dovrà
prevedere per legge che solo trovando qualcuno che si trasferisca
ad Alghero al proprio posto un abitante della città
può abbandonare la residenza per fare ritorno in Catalogna
).Ma Alghero continua ad essere una delle città-pupille
dei signori d'Aragona. Nel 1397 vi sosta per un mese re Martino
il Vecchio, tra il 1408 e il 1409 vi soggiorna Martino il
Giovane, proveniente da Trapani, nel 1420 sembra fissarvi
temporaneamente la sua corte Alfonso il Magnanimo.
Il popolamento continuamente ininterrotto: a piccoli nuclei,
che arrivano si può dire cintinuativamente fra il 1372
e il 1424, nel 1485 il censimento registrerà 411 fuochi,
che - secondo i calcoli dello storico Giuseppe Serri - corrisponderebbero
a 1800-2000 abitanti ( un "fuoco" = un nucleo familiare
di 4,9-5 unità ).
Ma il Quattrocento è comunque un secolo di ripresa
economica. La città vede il suo porto sempre più
frequentato (soprattutto nei periodi meno agitati) da navi
provenienti soprattutto dalla penisola iberica, ma anche dai
porti italiani e provenzali, e per un certo periodo funziona
anche da porto franco per i corsari che vengono qui a comprare
merci ed a vendervi il loro bottino. Angelo Castellaccio,
che ha studiato il funzionamento della giustizia in Alghero
nella seconda metà del Trecento, ha ricostruito il
quadro animato di una tipica città di mare, con torme
spesso rissose dì marinai, di mercanti, di calafati,
mastri d'ascia e costruttori di vele, di osti e di litigiose
prostitute.Il commercio della città è stimolato
anche dalla presenza di una intraprendente colonia di ricchi
mercanti ebrei, che nel 1364 hanno già costruito a
proprie spese una delle torri della città (che diventerà
poi la torre di Santa Croce) e innalzato, nel 1381, la loro
sinagoga. Di queste famiglie, la più potente delle
quali è quella dei Carcassona, saranno ospiti anche
governatori e viceré, quando passeranno in città:
i resti del loro palazzo si vedono ancora in via Sant'Erasmo,
dov'era un tempo il ghetto algherese.
E se nel 1478 una carta di Giovanni II riconferma ai soli
catalani, aragonesi e valenzani il diritto ad abitare ad Alghero,
meno di vent'anni dopo Ferdinando il Cattolico concede ai
Consiglieri algheresi di dare la cittadinanza della "piccola
Barcellona" a chi vogliono.
L'esclusivismo catalanista (e catalanizzatore ) è finito.
Arrivano i corsi, i liguri, i napoletani e i provenzali, comincia
una lunga vicenda in cui la "catalanizzazione" sarà
più un processo di osmosi naturale che un obbligo di
sopravvivenza, e nello stesso tempo simpianta dentro
le mura della città, una naciò, una razza, quella
sarda, che man mano che la crisi di fine Cinquecento e del
Seicento verrà allentando i legami con la madrepatria,
riuscirà a erodere in più punti il compatto
mondo della catalanità cittadina. |
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