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La catalanizzazione di Alghero
Gli algheresi sono battuti, ma non dominati. Quando di lì ad un mese Bernat de Corbera parte per Cagliari con le sue navi ( e le navi genovesi catturate ), lasciando Alghero a Gisbert de Castellet, la città si ribella, "spegnendo tutti i soldati aragonesi", come ha scritto il Manno: solo il Castellet si salva a malapena "precipitando dalle mura" e rifugiandosi a Sassari.
Alla rivolta di Alghero si accompagna ora l'aperta ribellione del giudice d'Arborea, mentre da Genova Giovanni Visconti, arcevescovo di Milano, diventato nuovo signore della città, ambisce di riprendere la lotta contro Aragona.Il re Pietro riprende la via del mare sardo, lungo quella diagonal illenca, quella "rotta delle isole" che sarà la spina dorsale dell'impero economico-militare che il re d'Aragona sta costruendo nel Mediterraneo occidentale. E' ancora una volta domenica quando, il 15 giugno, s'imbarca a Roses a capo di una flotta di 50 galee e altre 20 navi, su cui trasporta 1.000 cavalli armati, 500 cavalli alforrati (cioè armati alla leggera) e 10.000 fanti. Sabato 21 (stavolta la navigazione è durata un giorno meno che l'anno precedente, pure su una rotta più lunga ) prende terra a Porto Conte. Il 24 l'esercito è già sotto le mura di Alghero. Comincia un assedio che durerà quasi cinque mesi. Dentro la città ci sono da 500 a 700 difensori, ben armati, provvisti di viveri ed esperti nelle operazioni d’assedio, come ha scritto lo storico Giuseppe Meloni.
Gli aragonesi hanno macchine da guerra poco efficienti cui gli assediati contrappongono la costruzione di alcune "secche" nel porto e la costruzione di macchine da difesa: per parte sua Pietro IV scava un fossato lungo le mura della città, per impedire sortite improvvise. Ma il re deve fare i conti con altri nemici: con la malaria, che colpisce lui e molti uomini della spedizione, e con un esercito armato da Mariano d'Arborea e Matteo Doria che, forte di 15 mila fanti e 2 mila cavalieri, minacciano Sassari e si avvicinano ad Alghero sino a porre il loro accampamento a due miglia dalle forze aragonesi.
Il re fa buon viso a cattivo gioco: il 14 novembre firma la pace con Mariano e il Doria. La pace gli apre le porte di Alghero: il 16 il re vi entra nuovamente trionfatore, alla testa della sua cavalleria. "Come fummo entrati ad Alghero - ha scritto Pietro nella sua cronaca - ci trattenemmo alcuni giorni e donammo e dividemmo a popolatori nostri connazionali, ossia catalani e aragonesi, tutti i possedimenti, cioè case, terre, vigne del luogo e del suo territorio".Cacciati gran parte degli antichi abitanti, comincia la prima, intensa "catalanizzazione" del borgo, dove pure si può immaginare che siano rimasti piccoli nuclei di genovesi e di sardi, magari in posizione ( per ora) di subordinazione civile e politica. Da Cagliari, il 15 febbraio dell'anno successivo, Pietro IV emana una serie di carte tutte volte a configurare organicamente il sistema di privilegi e di concessioni attraverso i quali prende consistenza il ruolo della "villa"-fortezza, immaginata ormai come la testa di ponte delle comunicazioni politiche, militari e in parte anche economiche fra madrepatria e Sardegna. Il re estende agli algheresi i privilegi già concessi ai sassaresi, riserva ai soli catalani e aragonesi gli uffici pubblici, il commercio cittadino e persino l'esercizio del culto, li esenta dal pagamento di qualunque imposizione per la dogana o per il porto, dà alle concessioni immobiliari la franchigia da ogni onere dominicale, eccetto il pagamento della decima: in una parola, come dice un'altra delle carte reali di questo stesso giorno - una sorta di autentica "data di nascita" della città catalana -, decreta l'unione del locus seu villa de Alguerio alla corona di Aragona. E' da questo momento che il borgo che i sardi conoscono come S’Alighera e i genovesi chiamavano La Ligera diventa Alguer, L’Alguer in catalano e, nel catalano di Alghero, L'Alghé.
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