|
|
Dalla
conquista sabauda al Novecento
Nell'ultimo secolo di dominazione
spagnola, Alghero ha sofferto, come il resto della Sardegna,
della povertà del tesoro regio, costretto a fronteggiare
una serie ricorrente di crisi finanziarie e un accrescersi
continuo delle richieste. Pure c'è sempre una qualche
attenzione per Alghero: nel 1587 Filippo II fa munire la città
di nuove artiglierie (ma negli stessi anni la municipalità
poteva orgogliosamente affermare che gli algheresi avevano
"regalato" allo Stato artiglierie per circa 50-60
mila lire); nel 1590 viene favorito l'insediamento dei Gesuiti,
che dopo avere aperto a Sassari un collegio nel 1562, si stabiliscono
anche ad Alghero; viene incoraggiata anche l'agricoltura (una
relazione di Antonio de Camos, del 1572, dirà che Alghero
ha un'agricoltura particolarmente progredita: e già
si sta diffondendo, nelle pianure dell'immediato entroterra,
quella olivicoltura che resterà a lungo caratteristica
dell'economia - e del paesaggio - della città).
Quando scoppia la guerra di successione spagnola, Alghero
è governata da don Alonso Bernardo de Cespedes, che
si schiera dalla parte di Carlo d'Absburgo, mentre alcuni
nobili della città sono partigiani di Filippo d'Angiò
il governatore li manderà arrestati a Cagliari). Nel
1708 la città si arrende agli Austriaci, ma il loro
dominio dura - ad Alghero come nel resto della Sardegna -
soltanto un decennio: nell'ottobre del 1717 il conte di Montemar,
sbarcato in Sardegna col corpo di spedizione preparato dall'Alberoni,
pone l'assedio alla città insieme col marchese di Leide.
I difensori capitolano rapidamente, uscendo dalla rocca con
l'onore delle armi.
All'insediarsi, nell'agosto del 1720, del nuovo regime sabaudo,
Alghero ha circa 4.500 abitanti (4.583 nel 1728). Ne avrà
5.117 nel 1751. In un secolo (sino al 1824) la popolazione
crescerà del 51 per cento, arrivando a oltre 7.000
abitanti.I Savoia "regalano" ad Alghero alcune importanti
opere pubbliche: mentre vengono incoraggiati la ricostruzione
del convento dei Cappuccini fuori le mura (1722), la ripresa
dei lavori della Cattedrale
(1725-1750), il rifacimento della volta di San
Francesco (1785) e la riedificazione del seminario, sostenuta
dal vescovo Delbecchi (1751-53), il governo provvede a restaurare
le mura e a progettare la costruzione del lazzaretto (1722)
e il restauro dell'Armeria. Anche il commercio ha un nuovo
sviluppo durante il Settecento: mentre nei primi decenni di
governo sabaudo la coltura dell'olivo conosce un momento di
arresto (ma si riprenderà dopo la metà del secolo),
si sviluppa rapidamente l'attività connessa alla pesca
del corallo, che già i re aragonesi avevano incentrato
in Alghero, ordinando che tutte le barche che avessero voluto
pescare lungo il suo arco di coste facessero capo al porto
della cittadina catalana: a metà Settecento la flotta
delle barche coralline che ogni anno frequentava Alghero era
calcolata in 800 unità (soprattutto napoletane, ma
anche livornesi, corse, genovesi e francesi ), mentre duravano
le condizioni di favore che avviavano lintero movimento
dellimport-export isolano verso alcuni porti privilegiati
(Alghero era uno di questi, con Cagliari, Porto Torres e Castellaragonese,
ormai prossima a diventare Castelsardo ).Gli anni agitati
dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche che
costringeranno i Savoia a cercare rifugio in Sardegna passano
su Alghero senza lasciare grandi tracce. La flotta dell'ammiraglio
Truguet che verso il capodanno del 1792 muove lungo la costa
occidentale per andare ad assediare Cagliari passa al largo
da Capo Caccia. Più agitato, semmai, il clima interno
della città, dove non sono pochi i rappresentanti delle
élites cittadine che si avvicinano agli ideali dellIlluminismo
e poi della Rivoluzione: a partire dal giovane letterato Giovanni
Andrea Massala (1773-1817) alla grande famiglia dei Simon,
Domenico (1758-1829), Matteo Luigi, morto in esilio in Francia
in seguito alle sue simpatie per la causa repubblicana, e
Giovan Francesco (anche lui esule negli anni difficili, ma
poi tornato ad Alghero, scrittore latino e studioso di diritto),
sino al padre dello storico Giuseppe Manno, che il figlio
nella sua opera cercherà di purgare dallaccusa
(probabilmente infondata) di simpatie "giacobine".
Abbastanza misterioso resta lunico episodio della breve
vicenda dei moti antifeudali che tocca Alghero: sebbene più
d'uno scrittore, a cominciare dallo stesso Manno, parli d'un
tentato assalto ad Alghero da parte d'un corpo di spedizione
"rivoluzionario" organizzato da Giovanni Maria Angioy
durante il suo breve soggiorno a Sassari nella primavera del
1796 (le truppe contadine si sarebbero acquartierate nella
spiaggia di Cuguttu nel giorno di Venerdì santo), non
esistono documenti che permettano di dare concretezza storica
all'avvenimento.
Del soggiorno dei Savoia in Sardegna resta memoria in Alghero
nella stessa Cattedrale, dove è eretto un monumento
sepolcrale, opera del Festa, al giovane duca di Monferrato,
morto nella città, di cui era governatore, il 2 settembre
1799.
Nel periodo dell'esilio dei reali nell'isola fu ospite dei
Savoia Francesco d'Austria Este, il futuro duca di Modena,
che ci ha lasciato una "descrizione" dell'isola
(1812). Egli fu anche ad Alghero, e rimase colpito dal suo
"disegno": "Alghero - scrisse - è l'unica
fortezza vera in Sardegna; ha molto l'apparenza di città,
belle strade selciate; non ha palazzi fuori di quello del
Vescovo; case pulite di mediocre altezza, quella della Città
è forse la più grande; vi sono molti forestieri,
genovesi, stabiliti in Alghero per il commercio".
E' un'immagine abbastanza veritiera in cui si sommano alcuni
elementi di fondo della condizione della città in quel
momento: la città che conserva la sua "forma"
di fortezza, l'ordine - modesto ma gradevole - della sua tessitura
urbanistica, una certa vivacità del commercio, in mano
ora (come in passato, ma forse più che nel passato)
di una "colonia" forestiera (in questo caso i liguri).
Questa classe di commercianti fa di Alghero uno dei punti
portanti di un'attività mercantile che, mentre all'esterno
le poche merci -che la Sardegna può produrre (ma la
pesca del corallo e la presenza stessa del porto ne attivano
una parte rilevante) e importano beni di ogni genere, primo
fra tutti quel grano che la città - che pure gode del
mezzo millennio del diritto di ensierro, cioè del diritto
ad essere approvvigionata da una larga fascia di paesi dellentroterra
(così larga che, come ha mostrato lo storico Piero
Sanna, si estende sin quasi al centro della Sardegna) - ogni
anno deve cercare in mezzo a mille ostacoli e difficoltà
non solo finanziarie.
Sarà da una di queste crisi che nascerà, alla
fine di marzo del 1821, un moto popolare al quale non sembra
documentabile assegnare una qualche motivazione anche politica
(sebbene avvenga quasi in coincidenza con i moti costituzionali
in Piemonte).
La causa scatenante sono la mancanza di grano e l'alto prezzo
del pane, che spingono una massa di popolani a saccheggiare
i magazzini del negoziante Piccinelli e ad assediare la casa
di un altro commerciante, Gaetano Rossi: questi si rifugia
sul tetto, dal quale un suo figlio spara ( a pallini, si dice
) sulla folla; la figlia cade dal tetto, e quando il padre
si precipita sulla via per soccorrerla viene ucciso a colpi
di scure. I saccheggi continueranno per un altro giorno ancora,
fino all'intervento d'un corpo militare inviato da Sassari.
Ci saranno molti arresti, 30 condanne a morte (di cui 12 eseguite),
45 condanne alla galera o al carcere. Sarà Giuseppe
Manno (1786-1868), che è partito dalla Sardegna al
ritorno dei Savoia sulla penisola come segretario privato
di Carlo Felice a ottenere l'indulto reale per loro. Il Manno,
che con la sua opera Storia della Sardegna, pubblicata fra
il 1825 e il 1827 (e ampliata sino al 1799 con un'appendice
pubblicata nel 1845), sarà il "fondatore"
della moderna storiografia isolana, percorrerà alla
corte di Torino i gradini d'una fortunata carriera che lo
porterà ad essere presidente del Senato subalpino e,
alla proclamazione del Regno d'Italia, il primo presidente
del Senato italiano. Nell'Ottocento Alghero esce dalla cinta
delle mura, come altri borghi "murati" della Sardegna
(e come la stessa Sassari). E' nel 1853 che inizia l'abbattimento
del terrapieno verso la Torre dello Sperone, che ora è
detta anche Torre di Sulis per avere ospitato, negli anni
fra il 1799 e il 1821 il "tribuno" cagliaritano
Vincenzo Sulis, primo eroe della resistenza contro i francesi
e poi caduto in sospetto presso i Savoia.
Sono gli anni in cui Alghero viene abbandonando il suo destino
di città "militare": le leggi sulla chiusura
delle terre (1820-1839) incrementano ulteriormente l'interesse
degli algheresi per l'agricoltura, mentre si stempera - con
un processo così rapido che forse non è stato
mai registrato in altri periodi della vita della città
(neppure quelli successivi) il suo carattere "catalano",
come noteranno i viaggiatori che vi arriveranno della prima
metà del secolo (il Lamarmora, l'Angius).
Intorno al 1829 la costruzione della strada da Cabu Abbas
(presso Torralba) ad Alghero attraverso Thiesi ed Ittiri accorcia
le distanze con Cagliari e con la Sardegna interna; nel 1840
viene avviata la costruzione della carrozzabile per Sassari,
cui seguirà nel 1879 la ferrovia per Sassari. Al primo
censimento della popolazione sarda, nel 1842, Alghero aveva
registrato 8.716 abitanti; saliranno a 8.831 col primo censimento
del Regno (1861), saranno più di 10 mila nel 1901. |
|
|
|