S.I.
7 luglio 2015
Mesumundu: a scuola di Archeologia Medievale
Mesumundu, identificabile per la piccola chiesetta in laterizi di epoca bizantina, è un sito oggetto di scavi archeologici dall’Ottocento. Si conoscono almeno sei interventi di scavo, oltre ad un numero imprecisato di scavi clandestini o comunque non autorizzati
SASSARI - A pochi metri dalla 131, In territorio di Siligo, nel sito di Mesumundu, sono iniziati nei giorni scorsi i lavori della V edizione della Scuola Estiva di Archeologia Medievale, organizzata dal Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari e dal Comune di Siligo, che la sostiene con la nuova amministrazione guidata dal sindaco Mario Sassu, in regime di concessione ministeriale di scavo (Soprintendenza Archeologia della Sardegna). Partecipano alla campagna di scavo circa 50 fra studenti, laureati, dottorandi e dottori di ricerca in archeologia di 12 Università italiane e straniere (Sassari, Pisa, Napoli L’Orientale, Bologna, Barcellona, Madrid, Santiago, Aarhus, Sheffield, Leiden, Salonicco, Poznan), sotto la direzione del prof. Marco Milanese, Direttore del Dipartimento organizzatore e Ordinario di Archeologia Medievale presso l’Università di Sassari.
Mesumundu, identificabile per la piccola chiesetta in laterizi di epoca bizantina, è un sito oggetto di scavi archeologici dall’Ottocento. Si conoscono almeno sei interventi di scavo, oltre ad un numero imprecisato di scavi clandestini o comunque non autorizzati. Un sito ridotto ad una gruviera, dunque, ma paradossalmente poco conosciuto, ai piedi del Monte Sant’Antonio (Monte Pelao), non distante da Monte Santo, che spicca nel paesaggio del Meilogu e ne rappresenta l’elemento paesaggistico più riconoscibile. Mesumundu è un sito strategico, un central place per la storia del Meilogu, ma è anche un luogo dove leggere modi e tempi del passaggio dal mondo romano a quello medievale e costruire un caso di studio che possa essere utilizzato per capire questa transizione in Sardegna e nel bacino del Mediterraneo.
Un’area vulcanica, ricca di acque termali, che vennero sfruttate (nel sito di Mesumundu) dall’impianto di un complesso termale in epoca imperiale romana (II secolo d.C). Le vicinissime sorgenti di S’Abba Uddi (l’acqua bollente) furono captate con un piccolo acquedotto e sfruttate per le terme; ad esse doveva essere associato un tempio delle sorgenti termali, la cui ubicazione è del tutto da identificare. Oltre al progetto didattico, la Scuola Estiva di Archeologia Medievale ha coinvolto i partecipanti, coordinati dagli archeologi Dott. Maria Cherchi, Alessandra Deiana, Chiara Deriu, Gianluigi Marras, Matteo Pipia, Manuela Simbula, Alessandra Urgu, Martina Zipoli, Antonella Bonetto, in un intenso progetto di ricerca archeologica, dedicato alla lettura storico-archeologica dell’importante sito di Mesumundu.
La campagna di scavo è stata mirata ad un migliore tracciamento cronologico, funzionale e spaziale delle fasi monumentali di Mesumundu, note almeno dal tempo del canonico Giovanni Spano (1857) e di quelle fasi “invisibili”, in quanto leggibili solo nelle pieghe del terreno. Una storia lunga 1300 anni, dal periodo cesariano-augusteo fino alla conquista catalana della Sardegna. Le piccole terme di Mesumundu erano inserite – in età imperiale romana- non tanto in un vero e proprio abitato, ma in un luogo di sosta attrezzato lungo la strada romana, che possiamo immaginare non molto diverso dai moderni “motel”, dove i viaggiatori potevano sostare, riposarsi e – nel caso di Mesumundu- concedersi un momento di relax nelle terme. Lo stabilimento termale fu restaurato probabilmente dopo 150 anni circa dalla sua realizzazione (siamo alla fine del III-inizi IV secolo d.C.), fino al suo abbandono che sembrerebbe – alla luce dei dati della campagna- essere sopraggiunto nel V secolo d.C. In età bizantina, alla fine del VI secolo d. C., le terme furono rase al suolo e i materiali da costruzione vennero riutilizzati per la costruzione di una piccola chiesa, voluta da un gruppo aristocratico bizantino insediato in questo territorio.
Le sepolture di questi aristocratici, scavate attorno alla chiesa bizantina negli anni Trenta e negli anni Sessanta del Novecento, restituirono gioielli in oro, attualmente conservati al Museo Sanna.
Le indagini antropologiche, realizzate in collaborazione con docenti degli Atenei di Sassari (Dipartimento di Scienze Biomediche) e di Pisa e ricercatori del Centro Studi Antropologici, Paleopatologici e Storici dei Popoli del Mediterraneo degli stessi Atenei, sono coordinate sul campo dalla Dott.ssa Anna Bini. Uno dei risultati più importanti della campagna appena conclusa – grazie al ritrovamento di un minuscolo fazzoletto di terreno sopravvissuto agli sterri del passato- è la possibilità di leggere al dettaglio i tempi che portarono dall’abbandono delle terme romane alla costruzione della chiesa bizantina. Uno dei temi di fondo della campagna di scavo a Mesumundu è anche quello di far luce sull’insediamento monastico cassinese che nel 1065 – a seguito di una donazione giudicale al monastero di monte Cassino- avrebbe interessato l’area in questione (Santa Maria di Bubalis) e il vicino Monte Santo. La campagna di scavo rientra anche nel progetto “Ultra” di innovazione tecnologica dell’Università di Sassari e grazie a questa sinergia il rilievo fotogrammetrico generale e di dettaglio ad alta definizione , con l’uso di tecniche innovative, saranno realizzati con droni professionali e con modalità sperimentali.
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