Luciano Deriu
8 ottobre 2014
L'opinione di Luciano Deriu
Il cemento nasconde la storia algherese
L’archeologia urbana di questi ultimi anni ha fatto emergere straordinari tesori della storia di Alghero, i cui caratteri di peculiarità e unicità sono di interesse globale. Sembra proprio che “lo siddaru”, il leggendario tesoro nascosto e cercato per generazioni dagli algheresi, in qualche modo sia stato trovato. Trovato, ma subito ricoperto da un manto di cemento. Ce lo ha ricordato con rammarico la recente giornata delle comunità ebraiche, alla quale la città di Alghero ha legittimamente aderito avendo nella sua storia, assieme a Cagliari, la più importante comunità ebraica della Sardegna. Da Piazza Santa Croce, che ha restituito l’antica chiesa cinquecentesca, al cortile del Quarter, dove è riemerso quello straordinario cimitero che racconta il dramma dello storico castigo de dios, la peste che annientò metà della popolazione algherese alla fine del Cinquecento, tutto è stato ricoperto sotto una distesa grigia che rende indistinto ogni luogo riemerso dal passato.
Non è toccata sorte migliore alla Piazza della Juharia, la cui titolazione suona schizofrenica, perché mentre rievoca la fiorente comunità ebraica, si cancella ogni segno di Juharia. Peggio è toccato al Forte della Maddalena, l’unica supersite delle tre fortificazioni strategiche della Città murata, del tutto impraticabile per essere stato ricoperto di una brutta gradinata di sedute ad uso teatrale, subito abbandonate e ricoperte di rifiuti. Appare davvero incredibile l’abbandono di una Fortezza del Cinquecento, un modello architettonico di struttura militare che meglio di altre mostra il volto dell’antica piazzaforte. Con questo non vogliamo dire che gli scavi di archeologia urbana debbano essere lasciati a cielo aperto. Copertura adeguate sono imposte dalle sovrintendenze e dal buon senso. Ma occorre fare in modo che quei luoghi che sono stati svelati, possano raccontare la loro storia, utilizzando metodologie innovative adatte ad un contesto urbano moderno.
La nostra Facoltà di Architettura, che non ha fatto finora alcun osservazione in proposito, potrebbe dispiegare la creatività nella ricerca di forme di narrazione di quella storia sepolta. Nel cortile del quarter, potrebbe essere illustrata da una dotazione di pannelli narrativi, ma sarebbe anche possibile scavare un corridoio che attraverso un cristallo renda visibili in maniera esemplificativa una delle trincee cimiteriali che raccontano, non solo la morte, ma anche la vita del “secolo d’oro” finito così mestamente. Nella Piazza della Juharia, si poteva evitare sicuramente quella distesa ininterrotto di grigio, mentre sarebbe stato bello, recuperare almeno un giardino. Ma è ancora possibile tracciare un racconto di pietra, che con l’inserimento di materiali locali, spezzi la monotonia del cemento e disegni sul terreno il racconto delle preesistenze, le case ebraiche (oggi tutte identificate dagli studi di Cecilia Tasca e Antonietta Denti), il chiostro e il giardino delle monache, il pozzo.
Pannelli illustrativi e apposite targhette sul terreno potranno arricchire il racconto. Il Forte della Maddalena, dovrà essere recuperato e inserito in un disegno di recupero dell’intero sistema fortificatorio. La nuova Amministrazione dovrebbe dotarsi di un Piano organico adeguato, liberando non solo il Forte della Maddalena da rifiuti, palchi e gradinate, ma tutti i camminamenti e tutte le antiche torri cinquecentesche, incluse quella di Sant Elmo quella di Garibaldi, restituendole alla visita e alla fruibilità. Le mura dalla parte di terra sono in parte irrimediabilmente demolite. Ma, anche qui, un apposito tracciato figurativo potrebbe rendere palese il percorso della cinta muraria scomparsa, creando uno straordinario itinerario, un museo a cielo aperto, unico in Sardegna, dell’intero circuito dell’antica Fortezza, a beneficio di residenti, turisti, studenti e studiosi.
*Segretario regionale Legambiente Sardegna
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