Red
5 dicembre 2017
Menhir e tombe come misuratori del tempo
Gli antichi sardi costruivano ispirandosi anche al moto lunare. La scoperta, che se venisse confermata sarebbe straordinaria, è stata annunciata a Sassari durante il sesto Convegno di Archeoastronomia in Sardegna, e riguarda gli studi sul sito di Pranu Mutteddu, a Goni
SASSARI - Gli antichi sardi costruivano i complessi monumentali non solo in funzione degli allineamenti solari, ma anche in riferimento al moto della luna, molto più complesso ed articolato. A rivelarlo è stato Michele Forteleoni della Sat durante il sesto Convegno internazionale di archeo-astronomia in Sardegna, “La misura del tempo”. Assieme alla studiosa Simonetta Castia, di Aristeo, Forteleoni ha esposto un’accurata relazione sulle ultime ricerche inerenti il complesso archeologico, cultuale-funerario, di Pranu Mutteddu, a Goni, da un punto di vista archeo-astronomico. Le misurazioni sono state eseguite con planimetria Cad, di precisione assoluta, sull’area archeologica che ingloba circa sessanta menhir e sei tombe a tumulo. Il risultato è frutto di un grande lavoro sinergico tra il Circolo culturale Aristeo e la Società astronomica turritana, realizzato in collaborazione con altre importanti realtà accademiche. «Abbiamo scoperto numerosi allineamenti solstiziali – ha spiegato Forteleoni – le tombe assumono il ruolo di marcatori astronomici, marcando la levata e il tramonto del sole, fungendo da evidenziatori del tempo e delle stagioni». Di grande rilievo appare l’allineamento principale di diciotto menhir posto a nord della tomba del Capo, sulla direttrice equinoziale est-ovest: «Partendo da questo monumento abbiamo tracciato due linee di congiunzione sul primo e sull’ultimo menhir, identificando con ottima precisione le due stazioni lunari nord. Cosa che, se venisse confermata, sarebbe straordinaria e assegnerebbe una funzione non solo sacra, bensì anche calendariale, ai menhir».
Tutto il sito sembra rispondere ad una logica. Secondo Simonetta Castia, che ha posto l’accento sul fatto che lo studio è stato parzialmente limitato dalla mancata edizione integrale degli scavi e dalla consapevolezza che in antico l’area doveva essere più ricca ed articolata: «L’approfondimento delle indagini ha permesso di confermare la presenza di un sistema di reciprocità segnica e simbolica, nonché di importanti relazioni spaziali, tra gli allineamenti, i gruppi di menhir, le tombe a circolo e le strutture di carattere cultuale insistenti nel complesso, lungo un percorso di graduale sviluppo diacronico, entro l’intero arco del Neolitico recente». Altre sorprese sono arrivate sul fronte delle unità di misura utilizzate dagli antichi. Marzia Monaco dell’Università La Sapienza, ha presentato un’analisi geometrica del Tempio B di Largo Argentina, a Roma, identificato come Tempio della fortuna del giorno presente. Le analisi rivelano che in una prima fase di costruzione, un secolo prima di Cristo circa, l’unità è molto vicina al piede tolemaico di 0,308metri, dovuta forse alla presenza di maestranze greche. La seconda fase al cubito romano. Uno studio analogo, nato dalla collaborazione di Aristeo e Sat con La Sapienza, è stato condotto sulle tecniche costruttive del villaggio di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili, a cura di Flavio Carnevale. Il ricercatore ha rilevato l’utilizzo di differenti unità di misura sulle varie costruzioni: per le capanne il riferimento è 0,331metri, mentre per la zona megaron 0,333, analogo al piede di Egina o di Pergamo. La capanna adiacente ai forni presenta l’utilizzo del piede attico: 0,305.
Per questo insediamento, che ha restituito quasi 500chilogrammi di metalli, Lorenzo Mocci e Gianfranco Ledda hanno argomentato l’ipotesi di utilizzo dei forni di fusione. Lavinia Foddai ha introdotto uno studio sul complesso di Paule S’Ittiri, inserito nella zona sud-est della Valle dei Nuraghi. Il sito è ancora poco indagato, presenta un recinto (temenos), che ingloba quattro strutture apparentemente cultuali, di uguale schema planimetrico e medesimo orientamento: un futuro caso-studio nell’ambito delle prossime ricerche della studiosa Foddai, insieme ad Aristeo ed alla Sat. L’archeologo Luca Doro ha presentato i nuovi studi inerenti Sa Mandra Manna di Tula, evidenziando analogie con il sito di Monte Baranta di Olmedo e di Punta de S’Arroccu di Chiaramonti. Di grande interesse, ai fini dell’approfondimento delle ricerche e dalla seriazione cronologica dei monumenti, è data dalla relazione e sovrapposizione delle varie strutture murarie, tra cui è individuabile un protonuraghe adiacente alla muraglia. Un altro villaggio prenuragico, quello di Tanca Manna, posizionato all’interno di Nuoro, è stato presentato dall’archeologo Demis Murgia, che ne ha individuato la particolarità nella presenza di capanne non circolari, ma rettilinee e absidali. Invece, Marina De Franceschini ha illustrato gli aspetti archeo-astronomici di alcuni monumenti romani adrianei, come la Villa di Tivoli, il Panteon e Castel Sant’Angelo, dove con cadenza periodica si verificano manifestazioni luminose considerare in passato come ierofanie, cioè a manifestazioni del sacro. Gian Nicola Cabizza ha ripercorso i passaggi della Divina commedia nei quali Dante descrive la volta celeste, con una particolare attenzione sull’ipotetica descrizione della Croce del sud da parte del sommo poeta. A chiudere l’appuntamento è stato Mario Codebò, del Centro ricerche astronomia ligustica, che ha illustrato diversi studi archeo-astronomici sul sito di Bric Pinarella, in provincia di Savona, ricchissimo di testimonianze archeologiche. Qui sono stati scoperti due monumenti che presenterebbero tutte le caratteristiche di misuratori del tempo legati al moto solare.
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