10 settembre 2015
Migranti, paradosso chiamato Sardegna
La tragedia dei migranti in fuga da un destino di guerra, di povertà, di morte, non può più avere una declinazione solo ideologica. Per esempio: la paura di rimanere prigionieri in mezzo al Mediterraneo è uno dei problemi che il governo dell’Isola deve affrontare.
«Quando impreca contro “l’invasione degli immigrati” la Destra italiana sembra fare di tutto per dimostrare che la sua cifra essenziale resta il vuoto politico, l’inesistenza di idee e di programmi.»: partendo da questa affermazione di Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, vale la pena riflettere sulla sfida che la storia impone all’Europa di oggi. Servono risposte concrete: «Non sermoni buonisti sull’obbligo dell’ «accoglienza» che lasciano il tempo che trovano.» La tragedia dei migranti in fuga da un destino di guerra, di povertà, di morte, non può più avere una declinazione solo ideologica. Perché a niente serve ormai usare la paura dell’invasione per cercare facile consenso nell’opinione pubblica sconcertata e intimorita. E non è questo certamente il momento di avere paura dei migranti. Ritorniamo a un altro passaggio del ragionamento di Galli della Loggia: «È un’idea della politica autoreferenziale, ciecamente legata a quello che essa crede il proprio tornaconto, interessata solo alle contrapposizioni plateali.» La consapevolezza che il problema non è riducibile a una categoria unica per cui all’opinione di destra si può contrappore una posizione di sinistra.
Cioè che basti ragionare in termini ideali senza considerare gli effetti e i contraccolpi che ogni scelta comporta inevitabilmente. Ecco perché è necessario aprire una discussione pubblica capace di affrontare con saggio realismo tutti i problemi che la nuova ondata di migrazione comporta. Non si tratta più, infatti, di una migrazione economica, ma di una migrazione esistenziale, cioè per scampare alla sicura morte. Una migrazione che non coinvolge solo i poveri. Una migrazione che coinvolge quella parte seppure esigua di classi medie che avrebbero potuto e dovuto provare a dare ai propri popoli una classe dirigente capace di rompere i mali endemici della storia postcoloniale del Terzo Mondo. Perché alle grandi colpe di un’Europa incapace di trovare le soluzioni necessarie a superare l’emergenza preparando misure che contengano idee morali e sociali all’altezza della storia di tutto il «vecchio continente», bisogna aggiungere le colpe dei paesi che costringono i loro popoli alla migrazione forzata, spesso in mano a cricche di potere autoritarie e dittatoriali e peggio ancora tribali.
Ha avuto ragione Matteo Renzi a sostenere nel tempo che i grandi flussi migratori non possono essere considerati solo un problema dei paesi di frontiera. E infatti si sta facendo strada una idea globale del problema dell’accoglienza. Un autore di destra, culturalmente ben attrezzato come Pietrangelo Buttafuoco ha proposto sul foglio di una settimana fa di destinare i nuovi arrivati alla ripopolazione dei paesi e delle campagne abbandonati. L’idea è suggestiva. Pone il problema cruciale della attribuzione di una nuova nazionalità. Cioè chiedere a chi scegli di venire da noi di accettae le regole e i principi che governano la nostra vista sociale, la nostra democrazia e di tutto ciò che viene compreso dal concetto di “cittadinanza“. Ma tutti i migranti che arrivano in Italia vorranno davvero diventare italiani. Ciò che sta succedendo in Sardegna ci indica infatti una realtà diversa e più complessa. I nostri migranti non hanno infatti nessuna voglia di rimanere nell’isola. Hanno paura di rimanere intrappolati in mezzo al Mediterraneo. Non è un dato rassicurante per noi sardi. Anche per i migranti la continuità territoriale è un diritto negato. Come diceva il grande stoico Fernand Braudel nel lungo periodo la storia della Sardegna è sempre stata «un’isola prigione».
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