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Red 5 settembre 2015
Il ricordo di Carlo Demartis, un gigante
Aveva un difetto. Era schivo, umile e modesto. In una città come la nostra, dove la città delle lettere è dominata da ripicche e invidie, dove in troppi sono poeti, dove tutti sono intellettuali, dove ci sono troppe parrocchie, troppi preti e troppi vescovi, sembrava fuori posto
Il ricordo di Carlo Demartis, un gigante

ALGHERO - La città piange Carlo Demartis, docente in pensione. Ecco un fine e modesto ricordo di chi, Carlo, lo ha conosciuto, stimato e non solo, Emiliano Di Nolfo. I funerali avranno luogo Domenica 6 Settembre alle ore 11,30 presso la Chiesa di Santa Maria Goretti dove sarà celebrata la Santa Messa corpore praesenti.

La prima scena è questa: quinta liceo scientifico, compito in classe d’Italiano. Una mia compagna è scossa, le è successa una cosa brutta, ma è presente, mica si può mancare ad un compito in classe. Carlo Demartis, dopo aver dettato le tracce, la prende di peso e la porta fuori, lei in lacrime. Finisce che la studentessa, esentata dal compito in classe, si risiede sul banco, un po’ rasserenata, con in mano il suo foglio di carta protocollo in cui, invece del tema, c’era scritta una poesia, di Carlo, messa giù lì per lì, però bellissima, per lei e per il suo trauma di quella mattina, che era una cosa seria, e che è rimasta tra loro due.
La seconda scena potrebbe sembrare più banale. Italiano alla prima ora. Solito casino prima che arrivi l’insegnante, tipo i musicisti dell’orchestra che si accordano prima del concerto. Carlo si siede dietro la cattedra, non dice una parola e comincia a leggere L’Infinito di Leopardi. A “ermo colle” eravamo già tutti zitti e incantati. Non ricordo un silenzio così in vent’anni che mi capita di sentire gente parlare in pubblico (e, a volte, di farlo pure io). Se dovessi dire quando ho capito il potere vero della poesia e della letteratura, dovrei dire che è stato quel momento lì. Poi ce l’ha anche spiegato, Leopardi, come solo lui sapeva fare, ma il più l’aveva fatto con la lettura (con quella sua voce profonda e arrochita dal fumo, che nemmeno Cucciolla).
Ecco, Carlo Demartis era un insegnante così. E di scene così, in tre anni che l’ho avuto, ne potrei raccontare decine. Era uno che non interrogava se non obbligato da presidi o circolari ministeriali, uno che se c’era da discutere un fatto di cronaca mandava a quel paese la lezione programmata, era uno che l’anno della maturità (vecchio esame: due materie all’orale, commissario esterno) scriveva nel programma meno di quel che aveva fatto, cosicché io ho potuto fare il figo con Svevo e Pirandello, facendo colpo su una tizia del nord antipatica come poche (mica gliel’ho detto che in classe ne avevamo parlato anche se non c’era nel programma). Era uno che ogni giorno veniva in classe con libri suoi da prestare agli allievi, per dire. Così, fuori dal programma. E per ciascuno aveva un consiglio di lettura, personalizzato.
Quando ho saputo che Carlo era morto guardavo Whiplash, un film americano che racconta il difficile rapporto tra un allievo e una maestro in una scuola di musica jazz, con il maestro che, in un’ottica tutta americana, tortura psicologicamente gli allievi per, a suo dire, “cercare il nuovo Charlie Parker”. Al netto del fatto che il film è bello, mentre lo guardavo, pensavo di essere fortunato per avere avuto maestri migliori.
Carlo Demartis per me è stato un vero e proprio mentore. Tipo Yoda in Guerre Stellari. E lo è stato perché faceva esattamente il contrario del Fletcher di Whiplash. Non voleva creare talenti, “eccellenze”, come si dice ora, ma voleva creare cittadini migliori. Quando ti parlava di letteratura, di poesia, ti chiedeva “cosa vuol dire questo, per te?”. Carlo, tra gli ultimi in questo paese che maltratta gli insegnanti e gli studi umanistici, ci ha fatto capire che conoscere Leopardi e Manzoni serviva per diventare persone migliori, e che sarebbe servito, in futuro, qualunque mestiere avessimo fatto. Ed era vero.
Carlo è stato anche amministratore, assessore alla Cultura di un tempo forse irripetibile. L’ha fatto bene, ero già un giovane operatore culturale e me lo ricordo. Mi ricordo anche degli attacchi vergognosi che ha subitro per tre opere di arte contemporanea, che erano costate meno di quanto i suoi successori pagarono un paio di voli d’aereo. Ma lui soprassedeva, sapeva bene quanto questa città sa essere infame e vigliacca, perché conosceva l’animo umano come pochi, e volava ad altezze diverse. E’ stato anche un fine poeta. Oltre che fenomenale lettore di poesie, sue e di altri. Ed era un intelletuale e un pensatore raro, lucido e in anticipo sui tempi.
Ma, fatemelo dire, aveva un difetto. Era schivo, umile e modesto. In una città come la nostra, dove la città delle lettere è dominata da ripicche e invidie, dove in troppi sono poeti, dove tutti sono intellettuali, dove ci sono troppe parrocchie, troppi preti e troppi vescovi, sembrava fuori posto. Lui che ha dedicato la sua vita a unire, a insegnare, ad ascoltare, faceva la figura dell’agnello in un mondo di lupi. Peccato, perché stiamo parlando di un gigante in tempo di nani. Ma non è grave. Perché, e lo dico alla famiglia, a nome di tutti gli allievi che Carlo ha avuto: le persone muoiono quando la gente se ne dimentica, e Carlo non verrà dimenticato tanto facilmente. Per quel che mi riguarda, e per quello che conta, se sono quello che sono, se faccio il mestiere che faccio, lo devo in gran parte a lui. Mi ha, letteralmente, cambiato la vita. E ora non lo posso più ringraziare. Del resto, in ogni sceneggiatura che si rispetti, il mentore muore solo quando l'eroe è pronto per la parte più dura del suo viaggio. Ce la faremo anche senza di te, Carlo. Tranquillo.

Emiliano Di Nolfo, studente di Carlo Demartis, Liceo Scientifico, sezione B


Nella foto: Carlo Demartis con Pino Tilocca
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