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9 settembre 2014
Partito democratico, il risiko delle primarie sarde
Servirebbe un grande scatto di orgoglio popolare, come per Prodi alle prime primarie e per Renzi alle ultime, per sottrarre il voto per la segreteria del Partito democratico in Sardegna ai giochi bizantini di una classe dirigente che sembra aver perso contatto con la storia del tempo. E ancora una volta si aspetta che si svelino le trame del «Grande Tessitore». Tutto succede come se al posto di Prodi e Veltroni e D’Alema e Bersani non fosse arrivato Matteo Renzi
Partito democratico, il risiko delle primarie sarde

Servirebbe un grande scatto di orgoglio popolare, come per Prodi alle prime primarie e per Renzi alle ultime, per sottrarre le prossime primarie per la segreteria del Partito democratico in Sardegna, ai giochi bizantini di una classe dirigente che sembra aver perso contatto con la storia del tempo. Sebbene prossima, la data per formalizzare le candidature il 15 di settembre non ci appare come un tornante politico… Le idee languono. I pensieri latitano. Le trame si infittiscono… Mentre gli shogunati degradano si frantumano in bande. E se anche ci fossero nuove e dirompenti proposte, difficilmente potrebbero emergere confuse come sono nel risiko del potere locale che si combatte e si allea seguendo imperscrutabili logiche personali. Nessuno che rammenti gli psicodrammi che hanno portato prima alla candidatura e poi alla vittoria di Pigliaru, dopo la defenestrazione della Barracciu...

Perché il «bello» del Pd sardo, da Soru in poi, sta proprio nella determinazione con cui si combattono i potentati interni per far vincere poi i candidati esterni. Ai quali il partito è sempre costretto a ricorrere ogni volta che le guerre intestine, sempre senza vinti ne vincitori, si aggrovigliano nel più classico stallo, come si dice nel gioco degli scacchi quando nessuna mossa diventa possibile. Non era forse già successo l prima volta con di Soru, quando il padrone di Tiscali volò sulle primarie costringendo i potentati del centrosinistra a intronizzarlo… E allora sarà anche vero che Carlo V non ha mai detto dei sardi «pocos locos y malunidos», come sostengono permalosi i depositari delle stimmate nuragiche, ma è altrettanto vero che quelle parole sono ancora vere per il Pd: tratteggiano infatti alla perfezione la vicenda politica dei Democatici in Sardegna. Oggi.

Per dare una scossa al popolo democratico non sono bastate infatti bastate le due interviste incrociate sull’Unione Sarda di Silvio Lai, segretario uscente, dicendo senza dire, e di Francesca Barracciu, dicendo più del dire, che hanno alzato un muro contro la strategia messa in campo da Renato Soru per conquistare la segreteria regionale del partito. Lo stesso partito che Soru aveva piegato alla sua idea di Sardegna, un’idea nuova della politica regionale che si era rivelata allora vincente. Se si deve quindi constatare che il problema per il Partito è ancora Soru, attraversate le stagioni della disillusione e della sconfitta, prima dell’ultima riconquista, non è difficile dedurre che lo scontro in atto fra le sue anime è ancora immerso nella politica del passato.

Il ricorrere alla figura retorica del «grande tessitore» che a fuori dirige le mosse di entrambe le partite sulla scacchiera regionale, sembra sia questo il ruolo che viene attribuito ad Antonello Cabras forte di un potere surrogato rappresentato dalla poltrona di presidnete della Fondazione Banco di Sardegna. Attenzione: tutto succede come se al posto di Prodi e Veltroni e D’Alema e Bersani non fosse arrivato Matteo Renzi. Perché non è in questione il sistema di potere del «renzismo» sardo ma quella specificità politica di Renzi che fonda il suo potere sul consenso politico. Ma soprattutto sul ricambio della classe dirigente. Sono le primarie inventate da Prodi, il mecanismo di legittimazione che ha portato Renzi prima alla segreteria e poi al governo. Sono le primarie che consentono al pd quel tasso di democrazia che ormai è ineludibile per far tornare i partiti al centro della politica da cui si sono fatti cacciare per patente incapacità di capire i percorsi della storia in atto.

Così insieme a Renato Soru, che si fa forte del successo elettorale alle ultime elezioni per l’Europa con i suoi 140mila voti sardi (sui 180 mila che gli hanno consentito di andare a Strasburgo a dispetto del meccanismo elettorale che avrebbe dovuto favorire la Sicilia nel collegio delle Isole) per sostituire Silvio Lai, ecco le candidature annunciate di Romina Mura deputata per 9 volte ribelle in parlamento, di Pietro Morittu assessore a Carbonia, e di Thomas Castangia sebbene non lontano da Tiscali, candidato per la sua ostinazione a seguire il gruppo di Civati. Come è facile constatare l’unico a poter contare sul consenso del popolo democratico, a dispetto dei suoi problemi giudiziari, ma con grande rispetto per la storia del suo impegno politico, è proprio Soru. Ma perché Soru è così determinato a diventare il segretario del Pd sardo? La domanda presuppone un seguito come nei romanzi d’appendice: alla prossima puntata…



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