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Sergio Ortu 10 febbraio 2006
"Giornata del Ricordo": le testimonianze degli esuli
Quella storia di dolore e di esilio non è ancora terminata o almeno si è solo sopita negli oltre sessant’anni ormai passati


ALGHERO - Chi solo oggi scopre le vicende tragiche e dolorose dell’esodo giuliano-dalmata, può pensare che si tratti , tutto sommato, di acqua passata. Invece quella storia di dolore e di esilio non è ancora terminata o almeno si è solo sopita negli oltre sessant’anni ormai passati. E solo due anni fa lo Stato con la legge n°92 del 30 marzo 2004 ha deciso di rendere onore alla memoria. «Finalmente la memoria del nostro dolore e della tragedia delle foibe avvolta in un dignitoso silenzio e conosciuta solo dai cuori di coloro che l’hanno vissuta, ottiene il legittimo riconoscimento dello Stato e della comunità internazionale, ma è troppo tardi -commenta commossa Dorina Fachin,79anni, un esule istriana che non nasconde l’emozione nel ricordare quei tragici momenti della sua gioventù-avevo appena vent’anni quando mia mamma ci portò via dal mio paese. Ormai non potevamo più stare se volevamo vivere. Ma soprattutto se volevamo rimanere italiani». Un esodo e una piaga per oltre 350mila italiani vissuta tra la fine della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra. «Avevo appena 8 anni quando siamo andati via dalla Dalmazia-spiega Bruna Fiorentini 68 anni-ma ero una bambina molto sveglia e soprattutto attenta ai discorsi degli adulti nel quale percepivo il dramma dell’abbandono delle nostre terre, ma soprattutto l’ansia dell’incertezza di ciò che ci attendeva nella nostra patria dove però rientravamo senza alcunché dei nostri beni lasciati in tutta fretta prima di finire nelle mani dei titini». Il trattato di pace del 10 febbraio 1947 a Parigi stabilì l’annessione dell’Istria e di parte della Dalmazia, con Zara, alla Jugoslavia. Ne scaturì quindi un esodo senza precedenti da quelle terre. Gli italiani furono costretti ad abbandonare “tutto e subito”, rischio una incerta fine. Vennero dunque lasciati in fretta e furia, case,terreni, attività commerciali, barche e ogni bene privato immaginabile nella speranza un giorno di ritornare o quanto meno in rientrare in possesso di quanto abbandonato. Ma l’Italia era nazione sconfitta e doveva pagare i danni di guerra ai vincitori. Il governo dunque pago i danni alla Jugoslavia cedendo a Tito tutti i beni abbandonati dagli italiani. Nel contempo ovviamente l’Italia si impegnò a rimborsare tutti gli esuli di quei beni che aveva ceduto agli altri. «Sono passati quasi sessant’anni-continua la signora Fiorentini-ebbene ancora i rimborsi non sono arrivati o meglio sono arrivati in parte. Nel frattempo però noi abbiamo alzato gli occhi e cercando di dimenticare i nostri drammi abbiamo ripreso a vivere e a costruirci una nuova vita. Una nuova vita da italiani, più di prima, ma probabilmente senza un luogo d’origine, esuli in patria, ma con l’orgoglio di essere ancora italiani anche se in più di una occasione quasi respinti dagli stessi connazionali». Quasi tutti gli esuli abitanti a Fertilia hanno vissuto alcuni anni in diversi campi di raccolta nella penisola e anche la maestra 84enne Redenta Orlich ricorda quegli anni difficili, ma forse meno amari come per altri esuli. «Prima di arrivare a Fertilia trascorsi alcuni anni a Reggio Calabria-spiega-mio marito lavorava li e io che ero già titolare dell’insegnamento in Dalmazia, dovetti comunque vincere un altro concorso per essere abilitata ad insegnare anche nella scuola elementare. Tutto andò bene e quindi potei contare in un nuovo lavoro. Il nostro dramma però rimase e rimane nel nostro cuore. Oggi con la Giornata del Ricordo, la memoria diventa patrimonio storico culturale di tutti come altre miserie umane. Ma si è arrivati troppo tardi e molti dei nostri non hanno potuto assaporare questa soddisfazione legittima del ricordo». Ma quello che ancora la signora Fiorentini vuole rimarcare è il dolore vissuto con dignità e serbato nel silenzio, voluto in parte dalla politica. «Avete mai sentito di proteste in piazza, tumulti-precisa- mai nulla la nostra gente ha sempre preferito mantenere nel proprio cuore e con dignità il proprio dramma». Alla domanda infine su un eventuale ritorno nei paesi abbandonati, la risposta è da parte di tutti certamente no. «Ormai la nostra vita è qui-commenta la signora Ici del Caro-Fertilia è diventata la nostra terra. Qui stiamo bene anche se nel ricordo nostalgico della nostra terra. Li però è tutto cambiato. Non c’è più la nostra gente e ritornarci non avrebbe più senso».

Nella foto una immagine di Fertilia del 1947



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