A.B.
18 febbraio 2014
Ho fame: Fotografia a Cagliari
Dal 21 febbraio al 16 marzo, il Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà ospiterà la personale di Elisabetta Falqui
CAGLIARI - Venerdì 21 febbraio, alle ore 18.30, nella “Sala della Torretta” del “Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà” di Cagliari, inaugura “Ho fame”, la personale di Elisabetta Falqui, realizzata a cura di Roberta Vanali. Visitabile fino al 16 marzo, la mostra propone una serie di opere tra fotografie in bianco e nero di medie e grandi dimensioni, un video, un’installazione e due neon, che esplorano le problematiche relative al rapporto col cibo. La mostra è stata esposta nell’ottobre scorso a Firenze, nella “Galleria la Corte Arte Contemporanea di Rosanna Tempestini Frizzi”.
«Dagli affreschi di Pompei alle innumerevoli versioni dell’Ultima cena, dalle nature morte tra Cinquecento e Settecento alle osterie di Carracci, ma anche i banchetti di Bruegel, i ritratti surreali di Arcimboldo e le scene di vita contadina di Van Gogh, fino ad arrivare agli accumuli di caramelle di Felix Gonzales-Torres passando per i cibi griffati di Warhol e l’artificazione del cibo nelle performance Fluxus – è quanto afferma la curatrice della mostra Vanali - Arte-Cibo è un binomio inscindibile ed è interminabile l’elenco delle opere in cui lo si contempla come mezzo espressivo che diviene metafora della realtà. Potente veicolo di comunicazione, il cibo come fonte creativa, come rituale ma soprattutto come metafora dell’esistenza è anche oggetto cinematografico: magnificamente opulento per Buñuel, grottesco strumento di morte per Ferreri, sotto forma di cultura da mangiare per Pasolini. In un’epoca in cui non si può prescindere dalle diete e dall’ossessione per i cibi sani, in tempi in cui gli chef s’impongono come star e il culto del corpo arriva a esasperata e morbosa ricerca della perfezione, per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio. Ecco che il cibo diventa ossessione poiché unico appagamento delle frustrazioni più recondite e la magrezza, sinonimo di bellezza nella società occidentale, è associata all’illusione della felicità. Identificabile in un preciso stile di vita alimentare e quindi sociale, per l’artista l’ossessione del cibo rappresenta la crisi e il fallimento dell’uomo contemporaneo immerso in un’esistenza alienante. Il corpo come luogo di riflessione diventa quindi racconto di una patologia e il cibo da nutrimento si trasforma in disturbo compulsivo».
«Il tramite espressivo per Elisabetta Falqui è la fotografia e in questa il corpo riveste un ruolo centrale. Dalle immagini patinate attinte dall’universo mediatico passa in questo frangente a un rigoroso bianco e nero che rivela una realtà più tormentata. Le intime sofferenze di una percezione distorta della fisicità, di un rapporto perverso con il proprio corpo. La fame d’amore e il senso di inadeguatezza sono il risultato delle installazioni al neon associate alla costante che contraddistingue la sua dimensione concettuale, ovvero il susseguirsi forsennato di pensieri contraddittori, a tratti deliranti che profilano la complessa e inquietante relazione tra donne e cibo, un mantra che diventa assillo, tormento, incubo: “ho fame, mangio non mangio, mangio questo e basta, poi inizio la dieta, da lunedì sarò a dieta, sono grassa non posso guardarmi allo specchio, mangio, ho fame non ho fame, non mi piaccio, ma se lo mangio non sarà questo a farmi ingrassare, poi vado a correre, devo dimagrire ma ho fame, ho sempre fame, non voglio ingrassare, mangio meno, mangio questo e basta”».
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