17 febbraio 2014
Complimenti Pigliaru, ma non ci deluda!
Adesso incomincia la parte più difficile: governare. Perché il voto, al di là di ogni trionfalismo, è il sintomo di una malessere diffuso fra la gente di Sardegna. Perché basta cioè tirare un sospiro di sollievo per la salvezza delle coste, per la fine dell’incubo del Piano paesaggistico, per un paesaggio da preservare meglio… A Pigliaru la Sardegna con il suo voto chiede di più. Di inventare un nuovo stile di vita comunitaria, di mettere a profitto le grandi risorse ambientali e culturali di cui dispone la Sardegna, di saper trasformare tutte le avversità della condizione isolana in grandi e imbattibili opportunità…
C’è prima di tutto la conferma della vocazione alla minorità politica della sinistra radicale tanto da diventare l’alleato principale della sinistra riformista e diciamo democratica. Sommando i voti di Michela Murgia ai consensi di Francesco Pigliaru, il centro sinistra esteso avrebbe di gran lunga battuto il centrodestra che non si sarebbe salvato nemmeno se avesse potuto sommare i voti di Mauro Pili alle percentuali insufficienti di Ugo Cappellacci. Ecco perché la vittoria di Pigliaru, a dispetto del risultato aritmetico si presta a una analisi politica più incline al pessimismo. La percentuale ottenuta da Michela Murgia, che ha lottato con grande valentia quasi a mani nude contro le potenti macchine del Pd e di Fi, sebbene appaia deludente rispetto alle prospettive di un pieno successo, per quantità e qualità del voto va considerato come il sintomo della malattia profonda di cui soffre tutta la Sardegna politica. Cioè: i voti di Sardegna possibile non sono da attribuire solo alle capacità di rappresentare una alternativa ideale alta alle bassezze della politica da parte della scrittrice di «Accabadora», ma sono consensi che il Pd ha perduto per la patente incapacità di farsi interprete del suo elettorato.
La lunga e travagliata vicenda che ha portato alla vittoria del vicerettore dell’Università di Cagliari, scelto al momento di massima crisi del Pd, costretto a smentire il risultato delle primarie che avevano invece scelto Francesca Barracciu, atterrata dalla sua maldestra risposta all’avviso di garanzia sui rimborsi delle sue spese politiche. Le comunità della Sardegna si sono riconosciute invece nella seriosa mutria di Pigliaru, contro le previsioni che vedevano il suo carisma debole soffocato dal carisma forte di Michela Murgia e dal carisma berlusconiano che sembrava dovesse essere l’arma segreta di Cappellacci. E invece il trasferimento di carisma non ha funzionato. Sono molti coloro che hanno pensato a un risorgimento berlusconiano che potesse ripartire dalle terre di Sardegna. Convinti, sia a destra che a sinistra, che le sue barzellette e le sue gaffe anche se maldestre fanno consenso. Non è vero. Pigliaru non solo ha sconfitto Cappellacci ma anche Berlusconi. Non solo: il voto disgiunto che ha consentito alla Murgia di attestarsi intorno al 10 per cento, riflettendo sui numeri e sulle percentuali viene tutto da destra. Il candidato del centrosinistra sembra aver superato il voto della sua coalizione. È invece il candidato di Forza che sta al di sotto dei suoi sostenitori.
Il successo di Pigliaru ci dice che ci sono due tipi di antipolitica. Ce n’è un tipo populista e gaglioffo che profitta del malessere collettivo vendendo sogni di fumo e finte rivoluzioni, che fa leva fondamentalmente su quella parte del paese che non vuole pagare le tasse, che non sopporta i controlli di legalità… E poi c’è un altro tipo di antipolitica, che è contro la «malapolitica» che si è affermata nel corso del ventennio berlusconiano, non solo a destra. Si è pensato che il successo di Pigliaru, a cui nessuno credeva, sarebbe potuto venire da un effetto di trascinamento del carisma di Matteo Renzi. Invece è successo il contrario: pensiamo a quanto corrobori l’azione politica di Renzi, proprio in contemporanea al conferimento dell’incarico, con la vittoria del centrosinistra di Pigliaru in Sardegna. Una sfida elettorale che il segretario del Pd sembrava avesse sottovalutato, quasi non fosse un affare che riguardava la sua gestione del partito. E che invece adesso riverbera un nuovo carisma sul voto sardo, un voto consapevole, che sa valutare e distinguere le promesse dalle proposte, che non si lascia infinocchiare dalle barzellette e sa dare il giusto peso alla serietà delle persone. Aveva ragione infatti di dire che contro un presidente sottoposto a ben tre processi penali bisognava schierare come minimo un incensurato. Che però adesso deve dimostrare a tutti i sardi, non solo ai suoi elettori, di saper governare la crisi che stiamo, insieme all’Italia, all’Europa, attraversando con grande fatica.
Non basta cioè tirare un sospiro di sollievo nella consapevolezza che una parte delle coste sarde sarà meglio protetta dalla speculazione del cemento, che i progetti per lo sfruttamento dell’energia del vento non deturperanno il nostro mare, che il territorio sarà meglio preservato… Tutto questo ormai non basta. A Pigliaru la Sardegna con il suo voto chiede di più. Di inventare un nuovo stile di vita comunitaria, di mettere a profitto le grandi risorse ambientali e culturali di cui dispone, di saper trasformare tutte le avversità della condizione isolana in grandi e imbattibili opportunità. Serve una idea di politica che sappia uscire dalle strategie dei palazzi per entrare in sintonia con il sentimento diffuso della gente. Forse in questo senso non sarebbe per niente sbagliato che Pigliaru fosse capace di aprire verso il movimento creato da Michela Murgia entrando in sintonia con le idee della sua gente. Al di là della retorica sulla «nondipendenza», versione compatibile della «indipendenza» la cultura autonomista del suo elettorato non è lontana dalle tradizioni democratiche e di sinistra del voto di Pigliaru. Che restituisce alla Sardegna il ruolo di laboratorio regionale della politica nazionale. Non è che un inizio. Pigliaru, non ci deluda!
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