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Red 3 febbraio 2014
La sapete quella di «Silvio Merda»?
L’arrivo di Berlusconi in Sardegna seguito dal suo «delfino» non ha infiammato la campagna elettorale sarda come cinque anni fa. L’idea folle promessa che avrebbe di nuovo assegnato la vittoria al centrodestra è rimasta segreta. Sul campo un po’ di promesse già sentite e banali immagini di una Sardegna da cartolina. Ma sarebbe stato lo stesso un successo se non fosse stato per la barzelletta di «Ugo Merda» che non deve aver fatto bene all’autostima di Cappellacci. Ne gira infatti una versione riveduta e corretta...
La sapete quella di «Silvio Merda»?

Alla fine la scelta è caduta su Giovanni Toti. Dudù non è stato nemmeno convocato per la trasferta di Sardegna. Ma nemmeno il delfino designato ha potuto giocare. Tutto il campo è stato riservato a Berlusconi. Per Toti applausi per chiamata! Poco più che di rito. Come sono sembrate di rito tutte le proposte politiche di cui Berlusconi si è fatto interprete dal palco della Fiera di Cagliari. La platea si è un po’ scaldata per la cosiddetta «zona franca» fra uno sventolio di bandiere con i quattro mori che francamente sono apparse stonate rispetto ai tradizionali colori dominanti di Forza Italia. Una amarezza che è emersa, seppure fra le risate, quando Berlusconi si è esibito in una delle più classiche delle sue barzellette. Forse una delle meno volgari. Ma forse una delle sue più brutte. Sarebbe passata inosservata. Ma il gioco paradossale sul nome del protagonista del raccontino ha fatto fare a Cappellacci la figura dell’imbecille.

Già, perché anche se per scherzo sentire ripetere un bel po’ di volte la storia di «Ugo Merda» non deve aver fatto bene all’ego e alla autostima di Cappellacci. Dopo la vittoria di cinque anni fa, quando Berlusconi non solo riuscì a imporre alla destra la candidatura del figlio sconosciuto del suo commercialista nell’isola, il giovane Ugo Cappellacci, ma trovò poi la forza di battere, con una campagna imponente, un fuoriclasse dell’antipolitica del peso di Renato Soru, presidente uscente per il centrosinistra, la campagna elettorale per il voto del 16 febbraio si fonda su parole già sentite, promesse già fatte, parole d’ordine già consumate. Una ripetizione, in buona sostanza.

«Repetita juvant» si dice nel latino classico che trovava risposta però nel goliardo latino maccherico: «Sed scocciant». Perché la domanda cruciale per capire come proseguirà la campagna elettorale per le regionali mette al centro la responsabilità degli elettori sardi. Riuscirà di nuovo il blocco sociale economico e di potere che sorregge anche il Sardegna il berlusconismo, dopo cinque anni di governo di Cappellacci, a convincere ancora una volta i sardi a votare di nuovo per il centrodestra? Una domanda che impone una riflessione storica profonda sulla evoluzione della opinione politica e culturale della Sardegna. Il voto infatti, anche se strumento imperfetto, affida tutta la capacità di far funzionare la democrazia agli elettori. Il voto perciò è la fotografia di una comunità, anzi la radiografia dei suoi sentimenti, la traduzione in poche cifre percentuali dei sentimenti collettivi. Al fondo il voto tradisce l’idea di sé della gente. Sono i sardi diventati un popolo da barzelletta? Chissà che non fosse i caso per tutti i sardi di promuovere una campagna in difesa di Cappellacci chiedendo casomai a Berlsuconi di sostituire al nome Ugo il nome Silvio. Provate: funziona lo stesso.

Leggendo «sine ira ac studio» le cronache diffuse dalla Fiera di Cagliari, il problema non è di capire se l’idea che Berlusconi ha della Sardegna può far vincere Cappellacci, ma domandarsi quale sia l’idea su cui la comunità della gente che vive oggi in Sardegna pensa di immaginare il destino prossimo venturo. Non meraviglia infatti che Berlusconi, il costruttore, veda la Sardegna come il luogo meno costruito d’Italia, definendo l’isola una specie di Arca di Noè. Che poi con la scusa di risollevare l’economia dell’isola con la promessa di nuove ricchezza per i sardi pensi di costruire ciò che rimane non meraviglia nemmeno. Forse il pericolo per il territorio di tutta l’isola, implicito nei progetti del Pps di Cappellacci, è un argomento su cui bisognerebbe puntare i riflettori.

Come ha fatto il recente convegno del Fai, Fondo ambiente italiano, che si è tenuto a Cagliari, al teatro Massimo, poco più di tre mesi orsono. Come ha detto il presidente Andrea Carandini: «Il paesaggio sardo è stato per troppo tempo disconosciuto. Dunque, ha bisogno, per ampie aree, di recuperi, ripristini e bonifiche, come altri luoghi ammalati d’Italia. Servono servono lavoratori specializzati e agricoltori intelligenti per una sua riconversione, quindi un investimento particolare in conoscenze e formazioni di altissimo livello». Insomma c’è nel paesaggio e nell’ambiente una ricchezza culturale che può tradursi in ricchezza economica. A condizione di proteggerla. L’agenda della questione sarda è fitta di punti critici. E di domande inevase. È a tutte queste domande che tutti i candidati nessuno escluso dovrebbero rispondere. Aspettiamo. Con molte preoccupazioni. Ma senza aver perso tutte le speranze.



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