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20 gennaio 2014
Ciao Abbado
A mos veure
Aveva scelto Alghero, fin dal 1968, dove aveva investito i primi guadagni della Scala… E aveva stabilito una relazione molto riservata con la città catalana senza imporre la sua prepotente personalità
Ciao Abbado. A mos veure

L'agenda dei festeggiamenti per i suoi 80 anni aveva occupato quasi un intero mese, a cominciare dal concerto del 9 giugno a Bologna alla presenza di Giorgio Napolitano, sul podio del Manzoni con musiche di Beethoven, Mozart, Haydn e Prokofiev. Ma la vera festa, nel giorno del genetliaco, privatissimo evento famigliare, si era svolta proprio ad Alghero, nella sua casa immersa dalla macchia mediterranea, fra lentischi e corbezzoli, lungo la costa che da Fertilia va verso Porto Conte, nel tratto fra le Bombarde e il Lazzaretto. In quell'occasione anche la redazione intera di Alguer.it si era sentita partecipe dell'evento, promuovendo una petizione cittadina per consegnare le chiavi della città al grande ospite. Abbado infatti aveva fatto di Alghero il suo rifugio esistenziale. Ed era riuscito a creare una sua speciale sintonia con la città catalana senza avere bisogno di imporre la sua straordinaria personalità. Era stata una vera scoperta Alghero per il musicista milanese. Una scoperta lontana negli anni, quando ancora suo padre primo violino della Scala, si esercitava nella sua stanza fra i pini, per non perdere l'orecchio e la mano.

Era il 1968 e quella casa era stata comprata con i primi guadagni della Scala. Poi sarebbero arrivati altri amici. Soprattutto il grande amico Luigi Nono, interprete primo della moderna avanguardia musicale europea. E poi Maurizio Pollini… E soprattutto l'architetto Renzo Piano che non manca mai di fermarsi ad Alghero con la sua barca a vela… La casa di Abbado non è una villa. Piuttosto un luogo dove contemporaneamente riunire amici e famiglia, che arrivavano da tutto il mondo, e contemporaneamente trovare quell'isolamento necessario a pensare il suo lavoro nello studio ricavato fra le rocce. La casa è sul mare. E vede il mare. Ma dal mare non si vede. Non è stata pensata come una casa, infatti, ma come un giardino, uno spazio dove le piante danno forma al paesaggio domestico. Intervistato insieme a Renzo Piano, nel 2010 da Stefano Boeri per la rivista Abitare il musicista ha spiegato così la sua passione per il verde: «Mia madre Carmela, siciliana, era capace di far nascere le piante più incredibili sul nostro terrazzo di Milano, in via Fogazzaro. Così, da bambini, ci siamo abituati a veder crescere essenze e frutti di tutti i tipi nel nostro piccolo orto domestico, anche la pianta delle patate, che durante la guerra mancavano…».

Piano gli fa da controcanto spiegando la sua idea: «Io ho una teoria sulla ragione per cui a Claudio piacciono tanto le piante: nel verde c'è qualcosa di aereo, di leggero, di momentaneo, di effimero. In qualche maniera c'è qualcosa che appartiene alla dimensione momentanea della musica, del suono. La sua casa di Alghero, in Sardegna è la casa del musicista, ne sono convinto. Se mi chiedessero che mestiere fa la persona che ha inventato una casa completamente avvolta da piante di ogni tipo, credo che mi verrebbe naturale dire che è un musicista o uno scrittore; è comunque qualcuno che fa volare i pensieri; perchè nella bellezza effimera delle piante c'è qualcosa di leggero, di passeggero, di sublime, che poi è il senso stesso della musica». Abbado confermava con un entusiasmo ingenuo che non nasconde mai: «Assolutamente sì. Anche se può risultare un po' ridicolo, confesso che quando ad Alghero interrompo il lavoro e comincio a camminare nel giardino, la partitura che ho appena lasciato - tutta insieme - comincia a risuonare nella mia mente; è un po' come se il suo ripasso integrale avvenisse tra le piante... Quella di Claudio non è una casa normale… lì si vive o sotto o sopra gli alberi...»

Fa venire in mente Italo Calvino e il suo «Barone rampante» che decide di vivere fra gli alberi. Uno straordinario racconto che funziona come un grande romanzo in cui profondità e leggerezza colloquiano in perfetta sintonia. Come nelle esecuzioni di Abbado. Una fitta rete di passerelle e percorsi sospesi danno la sensazione di essere un po' al di sopra delle cose, come se si fosse dotati di una speciale forza di gravità. Più leggera appunto. E spiegava ancora Renzo Piano: «La casa del Barone Rampante è la casa di Calvino in Liguria. E il piccolo giardino della casa di Calvino, pieno di passaggi coperti, io l'ho sempre immaginato come un pezzo della casa di Claudio ad Alghero. E attenzione: in questa idea di poter vivere sugli alberi, senza scendere mai, c'è qualcosa di poetico e di romantico - come la bellezza dello stare in mezzo alle foglie - ma c'è anche qualcosa di profondamente scientifico, perché è chiaro che così facendo usufruisci del microclima creato dalle fronde alberate, sotto le quali c'è sempre frescura».

Abbado non è stato un semplice direttore di orchestra, un esecutore di musica. Ma piuttosto ha sempre avuto l'ambizione di ripensare la musica degli altri, non per reinterpretarla, quanto invece per cercare di arrivare il più possibile vicino alla sua forma originale, alla forma in cui era stata pensata e scritta. Si trattasse di Beethoven o di Mozart, la ricerca di Abbado si fondava su una tensione filologica, fatta di studi profondi e sublimi intuizioni, che ha fatto di lui il più grande direttore del mondo, uno dei massimi della storia della musica. Nel momento delle condoglianze, che la redazione di Alguer.it rivolge ai figli Daniele e Alessandra e Sebastian, e a tutti i nipoti e amici, dispiace che quel progetto di dare ad Abbado la cittadinanza onoraria di Alghero non sia stato realizzato. Succede ad Alghero. Valga per questo il saluto di tutti quelli che vogliono ricordarlo come nostro concittadino.
Adeu Abbado, a mos veure.



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