1 gennaio 2014
Dietro la smentita: Parisi, Renzi e Berlusconi
Sono in molti a pensare che la smentita di Parisi alla possibilità di una sua candidatura in terra di Sardegna debba essere letta come un attacco a tutto il Pd sardo: non solo a Silvio Lai ma anche a Renato Soru, artefici prima della vittoriosa candidatura di Franceca Barracciu alle primarie e poi della sua rinuncia. Ma seguendo il fio del ragionamento del professore entrato in politica con Romano Prodi, inventore con lui dell’Ulivo e delle primarie, viene spontanea una domanda di fronte alla possibilità che Forza Italia scelga l’isola per dimostrare la sua spinta propulsiva: cosa risponderebbe Parisi se Renzi gli chiedesse di candidarsi non solo per battere Cappellacci ma anche per rottamare Berlusconi?
La durezza con cui Arturo Parisi attacca il Partito Democratico sardo non serve solo a smentire la sua discesa in campo, non fosse altro perché la proposta non viene da quegli «esponenti», «capicorrente che si sono finora combattuti senza sosta», per un momento uniti nel No a Francesca Barracciu, mira allo scopo di illuminare a livello nazionale la crisi di autorità dei vertici democratici in terra di Sardegna. E c’è da credere che sia sincero lo sdegno politico contenuto in massicce dosi nelle parole di Parisi. C’è anche un filo di orgoglio ideale, per l’inventore delle primarie, nel sottrarsi ai giochi dei “padroni” del Pd sardo, nella convinzione che «il governo della cosa pubblica, debba cercare fin dall’inizio la sua forza, non più come in passato, in riunioni riservate, ma in un mandato raccolto alla luce del sole direttamente tra i cittadini». Tutto suona, anzi tuona, come un j’accuse contro chi vuole «riportare nelle mani di poche decine di persone quel potere che era stato finalmente riconosciuto alla generalità degli elettori». Peccato: era la prima volta che il candidato del Pd per le regionali veniva scelto con le primarie...
Tutto il ragionamento fa perno su un’accusa molto grave: «Non vorrei che il bersaglio dell’azione ieri portata a termine fossero le primarie stesse». Non c’è bisogno di fare grandi arzigogoli per capire i destinatari della smentita: non solo Silvio Lai, il segretario, ma anche Renato Soru, nel ruolo artefici prima della vittoriosa candidatura di Francesca Barraciu e poi della sua defenestrazione. A questo punto, una lettura meno letterale della smentita di Parisi rivela il vero destinatario del suo ragionare che non si trova in Sardegna, ma a Roma, quando non sta a Firenze, al vertice del partito nazionale. Perché altrimenti farla tanto lunga quando sarebbe bastata un’alzata di spalle, o al più una battuta feroce, dal repertorio «cionfraiolo» che il sasserese Parisi conosce a menadito e spesso pratica con fortuna!?
Parisi insomma, cerca di spiegare a Renzi che le elezioni regionali in Sardegna sono destinate a diventare un punto di passaggio cruciale per la battaglia successiva per le europee, che Berlusconi, sicuro di vincerle con Cappellacci, ripartirà proprio da Cagliari per la sua campagna di delegittimazione di tutta la politica italiana. Sarebbe un errore grave quindi considerarle alla stregua di una qualsiasi sfida locale. Sarebbe un pensiero maligno, sospettare dietro la smentita di Parisi, una doppia strategia consapevole. Ma non sarebbe tanto fantasioso pensare che Renzi, di fronte alla chiamata rispondesse imponendo un candidato di caratura nazionale per reggere l’urto del centrodestra e sfidare Berlusconi a viso aperto. Potendo contare su un doppio risultato: se il Pd perde la colpa è di Lai e Soru e di tutti gli altri capi-bastone del vecchio Pd, se invece il nuovo Pd riuscisse a vincere una sfida che adesso sembra persa, il merito sarebbe tutto del nuovo Pd. E sono in molti a chiedersi, all’alba del 2014, che cosa risponderebbe Parisi se Renzi gli chiedesse di candidarsi, anche se all’ultimo instante, non solo per battere Cappellaci ma anche per rottamare Berlusconi? Se mai dovesse succedere allora quel nostro titolo potrebbe diventare lo slogan elettorale vincente: «Forza Parisi».
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