Sotto accusa: il boom dei canoni demaniali marittimi che dal 1° gennaio 2014 aumenteranno di cento volte. Le immagini e le interviste
ALGHERO - Si sono legati alle gabbie dell'acquacoltura i pescatori che hanno scelto il mare di Alghero per dare forza alla propria protesta. Sotto accusa «il boom dei canoni demaniali marittimi che dal 1° gennaio 2014 aumenteranno di cento volte, costringendo le imprese di acquacoltura italiane a chiudere i battenti, e condannando un settore che vale oggi circa 400 milioni di euro». La protesta è stata promossa da Coldiretti Impresapesca nel Golfo di Alghero, in Sardegna, dove l’imprenditore Mauro Manca, titolare di un impianto di acquacoltura si è fatto promotore dell'iniziativa, a un chilometro e mezzo dalla costa.
Dal prossimo anno scatterà, infatti, una norma contenuta in una vecchia Finanziaria che prevede l’aumento dei canoni demaniali marittimi per gli impianti di acquacoltura. Una vera e propria stangata, visto che da 500 euro si passerà a una media di 500mila euro. «Cifre impossibili da sostenere – denuncia Coldiretti Impresapesca - per le imprese del settore che saranno costrette a chiudere. La norma, contestata dal garante della concorrenza, perché discrimina tra Aziende, cui viene aggiornato il canone, e cooperative, che mantengono invece i canoni agevolati, fino ad oggi non è stata applicata dalle amministrazioni locali per evitare conseguenze pesantissime». «Le imprese di Acquacoltura lamentano quindi il disinteresse della politica che mentre per salvare il comparto della nautica da diporto e gli stabilimenti balneari ha persino adottato una proroga fino al 2020 e ciò nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, che ha chiesto all’Italia di far valere quanto previsto dalla direttiva Bolkenstein – sottolinea Coldiretti Impresapesca – mentre ha completamente dimenticato l’acquacoltura che non è soggetta alla stessa Direttiva Servizi, nonostante l’Ue da tempo inviti gli stati membri ad eliminare gli ostacoli allo sviluppo degli allevamenti ittici».
«L’ennesimo colpo – rileva Coldiretti Impresapesca – a un comparto, quello della pesca, che negli ultimi 30 anni ha già perso il 35 per cento delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, mentre si aggrava il calo dei consumi, che nei primi cinque mesi del 2013 ha visto un crollo degli acquisti di pesce fresco in valore del 17 per cento». «Ma il settore soffre – continua Coldiretti Impresapesca – anche la concorrenza sleale del prodotto importato dall’estero e spacciato come italiano, soprattutto nella ristorazione, grazie all’assenza dell’obbligo di etichettatura dell’origine. Ad oggi infatti l’unico strumento per invertire la crescente dipendenza italiana dall’importazione, che ha superato il 76 per cento è rappresentato dall’acquacoltura, che invece viene penalizzata dalla mancanza di certezze e da una grave assenza di norme che ne consentano lo sviluppo».