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Antonio Burruni 18 giugno 2013
Il successo è un viaggio: Mastroluca racconta Ashe
La prima monografia in italiano sul grande tennista statunitense, uscita per la collana Ultra Sport di Castelvecchi, copre tutta la sua carriera e la sua rilevanza per il movimento contro l’apartheid e per i diritti
Il successo è un viaggio: Mastroluca racconta Ashe

ROMA - Il successo è un viaggio, diceva Arthur Ashe, non una destinazione. Alessandro Mastroluca l'ha scelta come titolo della prima biografia completa in italiano di un campione di tennis, di un simbolo di libertà, di un pioniere che si batte per il diritto di avere diritti, che apre una strada, che vede una luce dove prima non c’era.

«Non voglio essere ricordato solo come uno che ha vinto Wimbledon» spiegava. Anche se quel trionfo è una delle immagini più forti e dense di significato di tutta la sua carriera. La vittoria su Connors è il suo capolavoro tecnico, è la rivincita perfetta: il primo nero a vincere nella cattedrale del tennis aristocratico, del tennis su erba dove per decenni i neri potevano entrare solo come inservienti o giardinieri, in quel luogo magico dove tutti i tennisti possono vestire solo di bianco. Quell’immagine è una sfida, è un imperativo, è una strada tracciata nel cuore degli altri. La stessa che, con la forza dell’esempio, aveva lanciato due anni prima nel Sudafrica dell’apartheid. A guardarlo c’era anche un ragazzino che lo osservava con aria sognante. «Sei il primo nero davvero libero che io abbia mai visto» gli dirà. Negli occhi di quel ragazzo, negli occhi dei ragazzi di Soweto con cui Ashe ha parlato a lungo, si accende una speranza di libertà. In lui vedono un modello, un’alternativa. Negli occhi di quel ragazzo balena una scintilla, l’audacia della speranza che quasi vent'anni dopo porterà il Sudafrica a eleggere Mandela come presidente.

Ashe è nato il 10 luglio 1943, nello stesso giorno in cui il generale Patton sbarca in Sicilia per liberare l’Italia dal nazifascismo. Anche la sua è la storia di un liberatore, cresciuto nell’America della segregazione, delle carrozze separate sui treni, della linea bianca che sugli autobus divide i posti per i bianchi da quelli per i neri. Eppure sin da piccolo vuole scoprire il mondo, vuole viaggiare, vuole conoscere. Si batte perché agli studenti di colore nelle università venga riconosciuto fino in fondo il diritto allo studio, che vuol dire diritto al futuro. Non è un rivoluzionario, non è mai stato radicale, l’elevato status sociale che ha acquisito grazie ai successi sportivi gli piace. Però col suo esempio, la aiuta eccome la causa della rivoluzione, la causa del movimento per i diritti civili. Una causa che oggi più che mai, nel cinquantenario della marcia su Washington e del sogno di Martin Luther King, merita di essere ricordata e raccontata. Nell’ultima battaglia, quella contro l’Aids, contratta per una trasfusione di sangue infetto, che lo porterà alla morte il 6 febbraio 1993, è racchiusa tutta la forza, la dignità, la compostezza di un uomo la cui esistenza è stata “larger than life”, più grande della vita.

Nella foto: Arthur Ashe ritratto nella copertina del libro di Alessandro Mastroluca
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