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Giovanni Maciocco 19 aprile 2013
L'opinione di Giovanni Maciocco
Architettura ricorda Maria Lai
<i>Architettura ricorda Maria Lai</i>

Addio a Maria Lai che ha amato Architettura ad Alghero. Ci ha accompagnato per brevi ma intensi periodi dei suoi ultimi anni con seminari per i nostri studenti sia ad Alghero, sia a Ulassai, il suo paese natale, la sua vera patria. In questo piccolo paese dell’Ogliastra ha costruito la sua opera con i materiali universali della leggenda e della fiaba, esplorando con un’investigazione sempre febbrile i significati più profondi della cultura dei luoghi. Come quando, impegnata a cogliere gli elementi determinanti di un’installazione ambientale su un grande muro di sostegno poco fuori del paese, sosteneva con ironica convinzione che è sempre il muro a decidere e che non sempre il muro parla chiaro, ha bisogno di tempo.

“Il muro ci deve pensare!”, dicevano gli operai rivolti a Maria Lai, fingendo una loro complicità con il muro. Aspettando che il muro di sostegno diventasse un evento spaziale, Maria ci richiamava al progetto di architettura, alle irriducibili cifre del tempo, a riflettere instancabilmente sul significato del termine “architettura” che, come ci ha insegnato Le Corbusier, “ha qualcosa di più stregato che il razionale o il funzionale, qualcosa che domina, che predomina, che impone…”. Maria Lai interpretava in questo modo la necessità di esplorare il potenziale reattivo del contesto ambientale dell’intervento, ma anche le difficoltà che emergono nell’interrogare i luoghi, i dubbi che più fanno tremare nell’affrontare uno spazio macroscopico, di cui non si ha esperienza.

La capacità degli artisti di facilitare il passaggio dagli enigmi, i miti, le leggende alla vita vissuta può salvare la città. Quando, in un memorabile intervento nel suo paese natale, Maria legò le case alla montagna con un fitto intreccio di nastri azzurri, Ulassai ritrovò la sua civitas scossa da rivalità e tensioni. In un vivace gioco di costruzione di legami e interazioni i nastri colorati realizzarono l’immagine, visualizzata in modo indelebile, di uno spazio delle relazioni tra le diverse abitazioni: un progetto urbano straordinario, operato senza trasformazione fisica dello spazio. Come ha scritto Silvano Tagliagambe, tutti coloro che furono coinvolti in questo gioco furono costretti a capire che Ulassai, la sua anima, la sua intima essenza, la sua identità erano rappresentati molto meglio e assai più dai nastri che non dalle case e dalle strade, perché, un paese è, prima di tutto e sopra tutto, un gruppo eterogeneo di persone che comunicano attraverso lo spazio.

Ma non è più soltanto uno spazio fisico, fatto di dettagli e di misure, ma un luogo, nel quale s’innesta immediatamente e prepotentemente il tempo, come passato comune e memoria collettiva, e il tempo come futuro, come progetto condiviso. Il progetto dello spazio ha per questo lo scopo di rivelare nei luoghi della città questi significati che ci trasciniamo dietro e che ci trascinano dietro. Dove questi significati si rivelano, lì si manifesta lo spazio pubblico contemporaneo che permette a ciascun cittadino di scoprire un senso di finalità o di appartenenza, ma che fa anche di ogni cittadino un tutto, un individuo in uno spazio gremito. Aprendo uno dei libri sulle opere di Maria ho trovato una sua dedica speciale: “per i futuri architetti incontrati ad Alghero nel 2004”. Si intitola Tenendo per mano il sole e Maria ha scritto di suo pugno nell’ultima pagina alcuni versi tratti da Foglie d’erba di Walt Whitman.

abbagliante,
tremendo,
con che rapidità
m’ucciderebbe il sorgere del sole

se io non potessi,
ora e sempre
irraggiare da me
il sorgere del sole


Didascalia immagine: Geografia, Maria Lai (1994), filo su tela



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