Luigi Coppola
15 aprile 2005
A Sassari il giovedì della cultura
Al convegno FAI su paesaggio e fotografia, ospiti relatori Giovanni Chiaramonte e Davide Virdis
SASSARI – Il paesaggio di Sardegna, vissuto nelle immagini, nelle memorie della fotografia. E’ il tema del quinto giovedì della cultura, promosso dal FAI di Sassari, in collaborazione col Banco di Sardegna e La Nuova Sardegna. Giovedì quattordici aprile, l’Aula Magna dell’ateneo sassarese ospita per l’occasione due esperti dell’oggetto in seminario. Introdotti da Costantino Cossu, responsabile cultura de La Nuova, alternano gli interventi Giovanni Chiaramonte e Davide Virdis. Nato a Varese nel 1948, originario di Gela, Chiaramonte inizia a fotografare sul finire degli anni sessanta. La ripresa della sua forma figurativa, risente di certe tendenze della Pop Art e dell’Arte Concettuale. Il suo lavoro si genera nella tradizione teologica ed estetica della Chiesa d’Oriente, incontrata in P. Evdokimov, O. Clement, A. Tarkovskij. Ha fondato e diretto quattro collane di fotografia. Insegna Drammaturgia dell’immagine a Milano. Nel suo primo intervento Chiaramonte
definisce il concetto di paesaggio.Uno spazio vivo che assume una propria forza nell’abitare del tempo, nell’uomo, nel vedersi, nel ricordare. Non può esserci paesaggio senza esperienza dell’uomo e della sua cultura. In una visione antropologica, il relatore usa il gesto primordiale della sepoltura e della piantagione, come una sequenza di gesti che trasmettono ai posteri, il ricordo, l’immagine. Allo stesso modo l’uomo preistorico di trenta o quarantamila anni or sono, che consuma l’esistenza a dipingere o scolpire immagini nella roccia, sente il bisogno di conservare la sua presenza, nel ricordo di quelle immagini, custodite dai discendenti. Contrapposto al concetto americano di “landscape”, dove lo spazio ambientale non ha storia o se ne ha, è stata rapidamente rimossa, la vicenda italiana, vede un’inesorabile rimozione del ricordo. Nella rovina del paesaggio sono ricordati gli insediamenti industriali in siti naturali, come nella sua Gela, o l’invadente urbanizzazione e ricreazione artificiale d’intrattenimento, in luoghi, originariamente posseduti dalla Natura genitrice. In questo senso, concluderà il suo contributo, elogiando il paesaggio sardo, come quello meglio custodito dal lavoro dell’uomo. E’ supportato nella trattazione da immagini di Salvatore Ligios che “guardano”, vale a dire fanno la guardia e custodiscono “il luogo che si ama”.
Davide Virdis, nel suo percorso iconografico, trae una serie d’incontri con un riferimento comune, frammenti di territorio che partecipano ad un’idea. Dalle prime foto del 1854 (solo quindici anni dopo la prima in assoluto), che riprendono in maggior parte soggetti fissi, inanimati, un viaggio sino ai giorni nostri. Un tour in video clip, fermato negli scatti di Lesser, Vittorio Besso, Erminio Sella, Alinari oltre il grande F. Pinna, elevato dai testi di G.Dessì e dalle didascalie di A. Pigliaru, nella prima opera editoriale del genere, edita nel 1961, per iniziativa del Touring Club. Evidenziare nel mistero dell’immagine, il dinamismo che nasconde la stessa immagine. Un gioco di parole che racchiude, la coscienza, la sapienza nel perseverare un rapporto intelligente con il proprio territorio, il proprio paesaggio.
Nella foto: C. Cossu, D. Virdis, G. Chiaramonte
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