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Red 25 marzo 2012
Maria Chessa Lai, l´ultima intervista
«Homenatge a Maria Chessa Lai» stasera alle ore 18,30 nella sede dell’Obra Cultural. Ad Alguer.it la ricordiamo oggi con il colloquio sulla sua poesia realizzato dal professor Nicola Tanda tratta dal libro "La mia Mar"
Maria Chessa Lai, l´ultima intervista

ALGHERO - «Homenatge a Maria Chessa Lai» stasera alle ore 18,30 nella sede dell’Obra Cultural, nell’ambito delle manifestazioni per la Giornata mondiale della poesia sarà commemorata la figura della poetessa in catalano, scomparsa il 6 febbraio a pochi giorni dai suoi novant’anni. Un reading di Franca Masu ci farà sentire i suoi versi. Della sua opera parleranno Carlo De Martis e Nicola Tanda. Ad Alguer.it la ricordiamo oggi con il colloquio sulla sua poesia realizzato dal professor Nicola Tanda tratta dal libro "La mia Mar".

Una sfera magica,
colloquio con Nicola Tanda

Signora Chessa Lai, quale ruolo o significato, ma soprattutto, quale valore attribuisce lei alla poesia?
Parlare della poesia con chiarezza o con l’esprit de géométrie è praticamente impossibile. Tenterò piuttosto di giustificarne L’esigenza e quindi l’esistenza. Dico che la poesia è in noi, è nell’uomo, è la nostra possibilità di rimanere umani. La poesia anzi è, a mio avviso, proprio l’umanità, cioè la conoscenza profonda della vita che abbiamo saputo esprimere con la parola. Leibnitz ha detto una volta che la musica è la dimostrazione dei limiti della ragione. Sono i limiti della ragione che non rendono possibile conoscere il mistero di Dio e della morte. Quel che il grande filosofo ha detto a proposito della musica vale anche per la poesia. La ragione non è onnipotente. La musica e la poesia lo dimostrano. I versi difficilmente si lasciano riassumere o parafrasare. Nonostante le ricerche continue di spiegarli non si riesce mai esaurirne interamente il mistero. Personalmente penso che sia una esperienza assai vicina all’esperienza mistica. Credo sia nata con me, per darmi la gioia di parlare delle bellezze che sono nella natura e nel mondo, che io immagino come una sfera magica, con i suoi moti di rivoluzione e di rotazione. Un mondo incantato, meraviglioso, intatto, come alle origini, prima che venisse manipolato dagli interventi brutali dell’uomo.

Non le pare che questa poesia sia però quasi distaccata dalla realtà degli uomini?
No. Il mondo è un intreccio di relazioni. Ci offre continuamente emozioni che positivamente o negativamente derivano dai rapporti umani, sociali, etici, estetici. Quei rapporti che i giorni, tutti i giorni della nostra vita, recano con sé nel loro susseguirsi apparentemente uguale nel tempo. La nostra sensibilità percepisce e memorizza ogni occasione, ogni spunto di meraviglia, di gioia, di dolore che la vita di continuo propone. L’elaborazione che io ne opero mentalmente, la rievocazione mediante la memoria è un operazione poetica. E ho scelto di esprimermi in versi perché solo il verso dava un ritmo alle parole che sillabavo dentro di me.

D’accordo, capisco la sua scelta del verso. Tuttavia le chiedo, ma perché la sua memoria ha scelto per questi suoi versi la lingua catalana di Alghero e non quella italiana?
Ricordo di avere espresso, e ormai da molti anni, il mio mondo interiore e quello degli affetti solo e sempre nella lingua catalana di Alghero. Eppure è una lingua di adozione. La mia scelta, sin dall’origine e per più di quarant’anni, è stata forse motivata da ragioni di natura didattica. Terminato il ginnasio, ho preso l’abilitazione magistrale ed ho insegnato subito nella scuola elementare di Alghero. Qui ho fatto un’esperienza straordinaria quanto inaspettata. Per essere più vicina ai miei allievi, i bambini che parlavano catalano, ho sentito la necessità di comprendere a fondo la loro lingua. Una lingua con tratti fonetici e morfologici affini ma differenti dalla norma linguistica rigorosamente italiana che la scuola proponeva. La necessità di comprenderli e di rendermi conto della loro realtà ha fatto vibrare in me qualcosa che mi ha coinvolto. La scelta di questa lingua, poi, di una lingua che era sopravvissuta, in tanti secoli di storia, mi ha messo nella condizione di dover procedere, anche didatticamente da un particolare angolo visuale che percepivo esclusivamente come mio poiché sgorgava dalla mia coscienza e dalla mia mente. Avevo la curiosa sensazione di far parte di quella cultura e di quella lingua che, col tempo, era divenuta per così dire la mia lingua-madre. Più delle altre mie lingue, del sardo e dell’italiano. Questa scelta sorta quasi per una esigenza didattica è divenuta una esperienza esistenziale. Destinata a comunicare la mia carica soggettiva di emozioni liriche, e adatta anche ad esprimere la mia sensibilità sociale. Oltretutto, la mia operazione letteraria veniva in soccorso al rischio che correvano le lingue minoritarie, in particolare, quella lingua, che nel tempo avevano adoperato tanti poeti. Una lingua poetica catalana che aveva dietro una tradizione che rischiava di dissolversi e di estinguersi. Sono queste, insomma, le motivazioni della mia scelta. Motivazioni che, in parte, spiegano anche la mia idea di poesia soggettiva e al tempo stesso sociale. Sentivo una lunga tradizione poetica alle spalle, non solo nella memoria, ma anche viva e operante intorno a me. E questa tradizione era entrata definitivamente a far parte della mia vita. Tutto sommato c’è stato anche l’orgoglio di una militanza nell’intento di evitare che la mia lingua catalana, come la mia vita, venisse cancellata.

Vorrei però farle osservare che la sua poesia esprime anche, e abbondantemente, un senso profondo e quasi religioso dell’esistenza che forse travalica anche le motivazioni sociali dietro le quali si è, per così dire, quasi trincerata.
Non posso negare che ogni momento significativo della vita, dall’amore, alla sofferenza, alla paura dell’eternità e del nulla, mi abbia sempre suggestionato. Per giunta il luogo nel quale vivevo, la bellezza delle “antiche mura”, il vissuto intenso di quel microcosmo semplice e pervaso di speranza, sembrava distanziare l’angoscia della dissoluzione. La mia poesia, in particolare Nit sense albada, Emmaus, Los fills, Cerc l’amor sembravano e sembrano esprimere quella serenità che porta ad accettare senza grandi traumi l’esistenza.



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