Monica Caggiari
17 marzo 2005
J M Fajardo: per evitare altri rapimenti non c’è che il ritiro dall’Iraq
Ai margini della presentazione del suo libro “Vite esagerate”, José Manuel Fajardo ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito al concetto di libertà e democrazia, temi che durante la serata al Chiostro di San Francesco sono emersi più volte, soprattutto dopo alcune sollecitazioni da parte del pubblico, non numerosissimo, ma in compenso decisamente interessato alle esperienze giornalistiche del reporter di “El Mundo”
ALGHERO - Proprio una delle domande ha aperto il dilemma che attanaglia l’opinione pubblica italiana e in generale europea. Il terrorismo e le modalità per sconfiggerlo ha portato Fajardo a sottolineare un dato di fatto: «In Spagna conosciamo purtroppo molto bene il terrorismo e visto il recente e tragico anniversario non intendo solo quello dell’ETA. Ma, riflettendo su come lottare contro questo cancro della società, è necessario rammentare che la Spagna (ritiratasi dall’Iraq subito dopo l’attentato del 11 marzo 2004 a Madrid, in seguito all’insediamento del governo Zapatero – ndr.) ha avviato un’inchiesta per trovare i colpevoli; al cospetto della giustizia spagnola vi sono un centinaio di persone imputate. Quanti sono stati processati per l’attentato delle Torri Gemelle? E quanti sono, invece, i soldati americani e i civili afgani e iracheni morti in quest’altra forma di lotta al terrorismo?» Una domanda retorica, che Fajardo utilizza per rispondere senza tentennamenti, con quella libertà di parola e di informazione alla quale, da inveterato giornalista, è abituato e che difende strenuamente, anche quando risponde alle nostre domande su giornalismo, tra precari e cariche di prestigio, in Italia: «In Spagna non esiste la suddivisione come da voi (Ordine dei giornalisti pubblicisti e professionisti – ndr.). C’è una facoltà di giornalismo, oppure si va nelle redazioni e ci si propone per fare prima pratica e poi per essere inseriti direttamente nell’organico. Il giornalista mette a frutto la sua abilità nel raccogliere informazioni e raccontarle; il problema nasce quando si è troppo vincolati e ricattabili, per via della propria condizione di precario, anche in Spagna!». Al discorso aggiunge che dovrebbero essere i giornalisti “anziani”, che hanno più voce in capitolo, a non permettere ai giovani di essere sopraffatti, difendendo un diritto che è per e di tutti, quello alla corretta e libera informazione. «Manca l’indipendenza –così Fajardo– non solo e non tanto dal potere politico, ma piuttosto dal Consiglio d’Amministrazione del proprio giornale». E sembra quasi che agli Stati generali sul giornalismo sardo della scorsa settimana abbia fatto capolino anche lui.
Poi ci segnala un dato foriero di umori che accomunano i nostri due Paesi: «In questi tempi di guerre e violenza si parla tanto di pace e di libertà, libertà e ancora libertà. In Spagna si dice “dimmi di cosa si parla troppo e ti dirò che cosa manca alla gente”. Questo ci fa capire che la libertà è ancora lontana, ma tanto desiderata».
E la parità: «C’è, assolutamente e soprattutto in ambito accademico e giornalistico, purché, sia chiaro, non si faccia riferimento ai vertici, ai posti più ambiti, dove la presenza femminile è ancora scarsa o nulla. Penso che però anche questo cambierà. Le donne sono preziose e a livello giornalistico lavorano bene e con grande scrupolo». Ma lei, fosse direttore di giornale, avrebbe mandato Giuliana Sgrena sul fronte di guerra? Quasi un po’ stupito (perché non sa ancora che a suggerire ciò è stato, tra i tanti, il comunque grande Enzo Biagi sul Corriere della Sera) risponde: «Fare informazione è un dovere quasi morale per un giornalista. Così come un pompiere non esita di fronte al fuoco per salvare una vita». Poi aggiunge sarcastico: «Se il governo italiano vuole evitare di dover recuperare cittadini rapiti, magari anche pagando riscatti, non deve far altro che ritirarsi dall’Iraq».
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