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Red 8 dicembre 2010
Scatti dall´inferno alla ex Questura di Sassari
Dall’11 al 22 Dicembre 2010. Uno strumento di denuncia sociale diretta, come fu nei rotocalchi della grande tradizione giornalistica italiana.
Scatti dall´inferno alla ex Questura di Sassari

SASSARI - Uno strumento di denuncia sociale diretta, come fu nei rotocalchi della grande tradizione giornalistica italiana. Questo è l’ideale di fotografia declinato in “Scatti dall’interno - quattro fotoreportage a sei mani” che presenta circa ottanta scatti di Erik Chevalier, Luca De Melis, Alessandro Di Naro, Fabrizio Saddi, Luisa Siddi e Alessandra Spano, accompagnati da racconti di Massimo Cordadu, Luisa Siddi e dello stesso Erik Chevalier.

La mostra sarà presentata, in quella che fu la “sala passaporti” dell’ex-questura occupata di Sassari, (oggi per tutti Ex-Q) luogo scelto come simbolico di una trasformazione sociale possibile, di un’azione “dal basso” che possa rimettere in moto le dinamiche di un corpo sociale invischiato in un’immagine di sé stesso in cui più neanche crede, e in cui l’ipocrisia è diventato l’unico requisito d’inclusione.

Anche se lo stile fotografico di oggi è molto più asciutto, è immutata la fede nella fotografia come strumento capace di restituire verità e soprattutto di suscitare riflessione. Il centro dell’attenzione sono le storie che le immagini veicolano, piuttosto che la ricerca di un appagamento estetico. I titoli dei quattro reportage suonano già come quattro denunce: racconti di storie e luoghi specifici con grandi implicazioni teoretiche e politiche che veicolano tematiche importanti, chiamando così contemporaneamente all’azione concreta oltre e al dibattito teorico.

La serie “Vedi quirra e poi muori”, a partire dal racconto per immagini dalle attività discutibili del Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra e dei movimenti popolari per la smilitarizzazione dell’area ci parla così della tutela della salute delle popolazioni locali, dei militari e dei lavoratori del poligono, ma anche più in generale dell’occupazione del territorio della Sardegna, di accordi segreti internazionali, di poteri economici senza scrupoli. Da una questione “locale” il discorso si fa presto globale, a dimostrazione del fatto che questi due livelli di lettura non sono separabili.

Anche “Un disastro a peso d’oro”, che ci porta a vedere la realtà odierna dei luoghi violati dalla ricerca della Eldorado sarda a Furtei, con la campagna di estrazioni che in undici anni, prima del fallimento nel 2008, ha riversato ingenti quantità di veleni in un sistema idrico ad oggi per nulla in sicurezza. Una brutta storia in cui si sono mischiate una politica e un affarismo altrettanto selvaggi, con nomi eccellenti fra i quali anche quello dell’attuale Governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, che fu dal 2001 al 2003 presidente del CdA della della SGM (Sardinia Gold Mining) società che aveva in esclusiva la gestione del sito. In questo caso, a fronte del disastro economico e ecologico, c’è un forte sentore che qualcuno in Sardegna l’Eldorado l’abbia trovata davvero, ma un’Eldorado privata.

“Basta chiudere case” racconta la storia degli sgomberi di case occupate a Cagliari da immigrati, regolari e irregolari: delle loro manifestazioni e lotte, e della nascita dei comitati cittadini di difesa. La storia delle palazzine del rione di Giorgino, occupate da decenni da una comunità di alcune centinaia di immigrati senegalesi, sgomberate e demolite nel 2010, è esemplare di una vicenda fatta di mancanza di comunicazione e di dialogo, di mancanza di prospettiva - grave soprattutto dal punto dei vista dell’Amministrazione - e di un conflitto sociale che sembra cercato e desiderato.

Su questa recente vicenda la tensione è ancora alta, e il racconto per immagini ha anche la funzione di tenere desta l’attenzione su una comunità che non ha grandi strumenti di comunicazione e che non vuole sprofondare nell’invisibilità, luogo in cui la prevaricazione e il sopruso trovano il terreno di coltura. Un’altra storia di mancata inclusione, o meglio di “esclusione sociale”, è quella della comunità Rom che vive, o sopravvive, ai margini della città di Cagliari, nel campo nomadi costruito negli anni ‘80 presso lo svincolo che immette sulla Statale 554.

Una comunità quasi invisibile di cui ogni tanto l’Autorità si accorge, per colpirla con surreali provvedimenti di espulsione, come quello che a settembre ha raggiunto Laura, nata in Italia e condannata a cinque mesi di reclusione per non aver voluto lasciare il luogo in cui è nata e in cui vive con la sua famiglia, come il decreto le intimava. Ma tutti i bambini ritratti nelle foto di “Campo ‘nomadi’: la forma dell’esclusione”, pur esendo nati in territorio nazionale, e figli di genitori nati in Italia, sono in qualche modo “clandestini”, irregolari, sempre alle prese con il problema continuo del rinnovo dei permessi di soggiorno. “Nomadi” ormai solo fra virgolette, o nomadi solo in un labirinto burocratico che ha poco di umanitario e di umano.
17:01
Biodiversità e turismo sostenibile all’Asinara nella mostra della fotografa Silvia Sanna e in un documentario girato sull’isola. Appuntamento a Sassari sabato 30 novembre



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