Gianni Marti
13 dicembre 2004
Incredibile disavventura per un bambino disabile
Nell’aeroporto di Fiumicino un bambino disabile di 11, accompagnato dai propri genitori, si è scontrato con la scortesia e l’inefficienza della compagnia aerea che collega la capitale con Alghero
ALGHERO - Un fatto increscioso è accaduto alcuni giorni fa nell’aeroporto di Fiumicino. A farne le spese è Marco (questo il nome di fantasia), un bambino algherese di 11 anni affetto da una grave malattia. La sua vita la passa attorniato dall’amore dei genitori e da quell’onnipresente passeggino, che è insieme il suo veicolo per il mondo e la sua prigione. Ma è sbalorditivo vedere come nei suoi ventiquattro chilogrammi di peso ci sia così tanto desiderio di vivere, lottare, combattere.
Il 4 dicembre Marco si era svegliato alle 4,30 del mattino per prendere l’aereo da Alghero per il continente che parte molto presto, poi la coincidenza con un altro volo, un viaggio lungo e stancante che lo ha condotto nella clinica dove esegue regolari controlli. Conclusa la giornata di visite mediche, Marco, stanco e desideroso di rientrare a casa, era arrivato all’Aeroporto di Fiumicino, accompagnato dai propri genitori, per prendere l’aereo delle 22 diretto ad Alghero. Alle 22,30 i passeggeri sono ancora in aeroporto. I soliti ritardi della tratta Roma-Alghero. Nessuno comunica niente. Bisogna aspettare e basta. I passeggeri spazientiti vorrebbero chiedere spiegazioni, ma non c’è nessuno. Sorpresa: l’uscita non è più quella prevista, ed allora via di corsa, verso la nuova meta. Iniziano le procedure, tutti hanno fretta. Un gruppo di sportivi, lo si intuisce dalle maglie che indossano, viene fatto imbarcare per primo, sono disabili ed è giusto sia così. Con le loro carrozzelle quasi sfilano innanzi a tutti, anche a Marco. I genitori a quel punto domandano gentilmente all’hostess di terra se sia possibile riservare la stessa cortesia anche a loro, al fine di poter far riposare più comodamente il bambino sulla poltroncina dell’aereo. Per tutta risposta c’è un: «perché cosa ha il bambino?» La madre, quasi scusandosi spiega che il bambino è disabile. La hostess della compagnia che collega l’aeroporto romano con quello di Alghero risponde: «cosa vuol dire disabile?», il tutto condito da un’aria di scherno e di superficialità, come racconta il padre del bimbo. I passeggeri attorno, sembrano più spazientiti dell’hostess, nessuno interviene, ognuno pensa a se, non sia mai che il volo subisca un ulteriore ritardo. E’ gia mezzanotte. La madre, cerca di calmare il marito che nel frattempo protesta vivacemente ed invita l’hostess a controllare meglio la carta d’imbarco. Quel viaggio lo hanno fatto tante volte, e solo poche ore prima la cortesia, la gentilezza e la professionalità riservata loro da un’altra compagnia aerea sembra ora quasi irreale. Va bene, nessuna priorità, dice la madre, attendiamo come gli altri. Sopraggiunge, quindi, un assistente di terra che, al colmo di una serie di sproloqui, che non meritano d’essere riportati, pretende che i genitori di Marco esibiscano un certificato che attesti la disabilità. Altrimenti, nessun imbarco, nessun rientro a casa.
Si è quindi passati da un no alla cortesia ad un no all’imbarco.
Tutti sono stanchi. La madre pensa sia inutile fronteggiare l’impiegato dell’aeroporto ed allora lo accontenta, gli permette di leggere la cartella clinica. Lo steward legge: «Clinica pediatrica, istituto di neurochirurgia, ….» la sua comprensione si ferma qui. Restituisce la cartella e si allontana. Ricompare dopo qualche minuto. L’imbarco è possibile, ma è una cortesia del comandante, «voi non dovreste salire a bordo di questo aereo», tiene a specificare lo steward «prima però è necessario che firmiate questo», e porge un documento, forse una liberatoria. Nel frattempo tutti i passeggeri sono già a bordo. Il padre, prende Marco in braccio, lo porta fin dentro l’aereo. Il suo posto, quello regolarmente prenotato e pagato è occupato da un altro disabile. Non importa, Marco verrà fatto accomodare nel sedile accanto all’uscita di sicurezza. Meglio tacere, ancora una volta. L’importante è arrivare il più presto possibile a casa ed allontanare dalla memoria tutto questo. «Scriverò ai giornali, denuncerò il vostro comportamento» aveva detto il padre poco prima di partire, nella speranza di suscitare almeno un barlume di rispetto. L’hostess senza scomporsi, quasi divertita della minaccia, concludeva con un «faccia pure, non è la prima volta.., sapesse quanto ce ne importa».
Una voce risuona nell’aereo, «benvenuti ad Alghero..., il comandante saluta…, la compagnia vi ringrazia e si augura di avervi nuovamente a bordo...»
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