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Monica Caggiari 4 ottobre 2004
Da Alghero gli italo–iracheni ringraziano e chiedono: “Non dimenticateci”
La comunità italo-irachena esulta per la liberazione delle due volontarie e invia, proprio dalla nostra città, un appello per non dimenticare il paese, ancora in balia degli eventi e di una crescente criminalità, che trae linfa dalla povertà e dall’ignoranza
Da Alghero gli italo–iracheni ringraziano e chiedono: “Non dimenticateci”

La notizia della liberazione di Simona Pari e Simona Torretta ha regalato un sollievo lungamente atteso. L’Italia ha gioito e con essa tutti quelli che sono intervenuti con gesti e preghiere per la liberazione dei quattro volontari. Anche la comunità irachena in Italia ha voluto esprimere l’enorme gioia per il rilascio degli ostaggi. “Siamo felicissimi per la liberazione dei nostri amici.” ha dichiarato Abdul Zahra Khalati, presidente dell’Associazione Onlus “Al Mustensseria Italia”, composta da intellettuali italo-iracheni. Dalla sede sarda dell’associazione, che si trova ad Alghero, sono arrivati molti messaggi di riconoscenza agli amici di “Un ponte per…”, associazione che da sempre collabora con Al Mustensseria per contribuire ad alleviare le sofferenze del popolo iracheno. Khalati ha, infatti, espresso profonda riconoscenza nei confronti delle due volontarie per aver manifestato, subito dopo il loro rilascio, un affetto immutato e un impegno forte verso la martoriata popolazione irachena. «Ci hanno dimostrato vera amicizia –così Khalati– affermando di voler stare vicino al nostro popolo, nonostante numerosi ostacoli e l’estremismo dilagante, che provoca sofferenza agli innocenti, iracheni e non, e che ha portato al loro rapimento»
Da Al Mustensseria arriva anche una proposta di riflessione, legata proprio alle frasi pronunciate da Simona Pari e Simona Torretta nei vari incontri con i giornalisti. Alle loro parole, prive di risentimento e, anzi, saldamente ancorate al concetto di solidarietà, si è riallacciata anche l’associazione italo-irachena, la quale ha ricordato che la sofferenza dell’Irak continua, nonostante l’esito positivo del rapimento. «In Irak si sopravvive giorno per giorno, tra morte e miseria, senza diritti e ai margini della dignità umana» ha ricordato il presidente Khalati, aggiungendo che la situazione più grave riguarda la condizione sanitaria, l’assenza di luce e acqua e la totale perdita dei diritti e della legalità. Uno scenario drammatico, dove i primi ad essere calpestati sono i più deboli e indifesi. Donne, bambini, anziani e malati hanno la peggio; vivono chiusi nelle case, rese insicure per i colpi di granate e per gli assalti di bande armate. «Il nostro è un popolo martoriato da troppi anni -ha osservato Khalati- ed è proprio questa continua ed estenuante vita, satura di povertà, indigenza e ingiustizia, che ha rappresentato il terreno fertile per l’estremismo degli attentati e dei rapimenti, talvolta efferati negli esiti». La condanna di azioni orribili è indiscutibile e senza mezzi termini per l’intera comunità irachena in Italia. Al Mustensseria, che opera dal 2003 come Onlus e che conosce bene l’evolversi del vergognoso fenomeno dei rapimenti, ricorda che la maggior parte di questi sequestri avviene per lucro, motivo per il quale, secondo Khalati, bisogna evitare il pagamento di riscatti per non provocare un’esasperazione degli episodi.
Nelle mani dei gruppi di sequestratori, in parte bande di briganti, vi sono attualmente, secondo le stime ufficiali, altri 35 ostaggi di varie nazionalità e per molti dei quali si chiede un riscatto in denaro nell’ordine di molte migliaia di dollari. A questo si riallaccia la questione dei sequestri “minori”, o meglio quei rapimenti che destano un minore clamore per la richiesta di una somma di riscatto esigua, se paragonata ad altre richieste, e soprattutto per il coinvolgimento, quasi esclusivo, di iracheni.
Secondo Al Mustensseria si tratterebbe di operazioni condotte da ex-militari del vecchio regime, ben armati ed addestrati ad azioni di questo genere. I rapimenti si svolgono, infatti, secondo modalità ben definite. Si scelgono le famiglie ritenute benestanti e si rapiscono i componenti più facili da prelevare. Il ricatto è consono a quelle che si ritengono le disponibilità, costantemente sopravalutate viste le circostanze. Questo rende necessaria la contrattazione, breve e molto drammatica. Per rivedere il figlio, la moglie o qualunque altro membro della famiglia si pagano dai 1000 ai 1500 dollari. Chiusi i conti ci si richiude in casa, o quel che ne resta, in attesa che qualcosa cambi e nella speranza, ormai stremata, di un futuro, se non per sé almeno per i propri figli o nipoti.
«Non dimentichiamoci degli innocenti –conclude Khalati– ovunque essi siano. Ci auguriamo che gli uomini di buon senso continuino a lavorare con noi, per vincere quest’orrore e per costruire finalmente un futuro di pace e serenità per un popolo intero.Ora ricordiamoci dell’Irak».

Nella foto: bambini iracheni a scuola



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