Marco Balbina
3 febbraio 2024
L'opinione di Marco Balbina
Opponiamoci con forza all´Autonomia differenziata
Siamo rientrati quindici giorni fa da Padova, dove mia moglie, parkinsoniana da sei anni, ha subito, in una efficiente clinica “convenzionata” cittadina, la quarta stabilizzazione alla colonna vertebrale. Abbiamo dovuto seguire un brillante neurochirurgo sardo, che nove anni fa l’aveva operata a Cagliari, ma che oggi opera in Veneto, grazie al degrado subito dalla sanità sarda negli ultimi anni. Le “differenze” in Italia, quindi, sono già in atto, e non c’è bisogno di renderle assolute, come fa il DDL n.615 del Leghista Calderoli, già approvato in prima lettura al Senato il 23 gennaio scorso. Una legge che, se attuata, eliminerebbe ciò che rimane dello Stato Unitario. Non è un caso che oltre il 60% degli italiani sono contrari, oltre ad una vasta pletora di valenti costituzionalisti.
Le disuguaglianze fra regioni sono già oggi enormi. Citiamone solo alcune: il tasso standardizzato di mortalità ogni 100.000 abitanti, se nel Trentino è del 14,8 in Campania è del 20,8. Stiamo parlando di mortalità evitabile. Le performance sanitarie delle regioni comprensive di indicatori combinati se in Calabria è del 30% in Veneto è del 59%. In Sardegna l’attuazione dei LEA obbligatori è del 56,3% in Emilia-Romagna del 93,4. Grandi disomogeneità si riscontrano, inoltre, nelle differenze di finanziamento, di modello organizzativo e contrattualistico del SSN fra Regioni. In sanità vigono, ormai, le famigerate “gabbie salariali” e gli incrementi percentuali per medici e infermieri sulla spesa storica sono decisamente diversi. Per questo chi può, cioè i più bravi, scappa al Nord. Ma se andiamo a vedere, l’autonomia sanitaria regionale differenziata non sarebbe un affare nemmeno per le regioni del Nord e del Centro, in particolare per coloro che non sono nelle fasce alte di reddito (oltre i 100 mila euro). Infatti, tanti cittadini del ceto medio settentrionale, per altro già impoverito, sarebbero costretti a sottoscrivere salate polizze assicurative o a ricorrere ai cosiddetti accessi “out of pocket”, ovvero pagando “di tasca propria”. Ma nemmeno al Nord tutti possono permettersi di pagare cash. Di fatto, con questo Decreto, il Governo sta imponendo la progressiva privatizzazione e il definanziamento finanziario del SSN attraverso la via della completa “regionalizzazione sanitaria”. Lo Stato definanzia la sanità pubblica rispetto al PIL e apre sempre più a quella privata. La spesa privata diretta, infatti, salirebbe, con l’attuale Legge di Bilancio, a 43,5 Mld, di 3,5 miliardi superiore a quella del 2022. In altri termini, con l’Autonomia differenziata le Regioni diventerebbero i sicari silenti del SSN per conto del Governo centrale. Va in questa direzione la dura analisi di G. Viesti in “Le mini-secessioni, bomba nel silenzio”.
Ovvero, se è fallita, in passato, la grande Secessione padana, non è detto che non possano andare in porto ora le mini-secessioni regionali. Lo Stato centrale devolverebbe in “basso” tante funzioni senza finanziarle. Spetterà poi a Comuni e Regioni tagliare servizi pubblici e darli ai privati. Voglio concludere con un altro dato che riguarda la Sardegna, e già apparso sulla stampa: la parte di popolazione sarda che rinuncia alle prestazioni sanitarie “per inefficienza delle strutture pubbliche, costi eccessivi e liste d’attesa troppo lunghe è del 12,3%”. Basterebbe solo questo dato per confermare come stia saltando per aria, in questo paese, non solo l’art. 32 della Costituzione, ma anche il principio di solidarietà nazionale, che garantisce il diritto alla salute di tutti i cittadini, in particolare per coloro che si trovano in stato di indigenza.
*Presidente Associazione Parkinson Onlus di Alghero
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