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Alguer.itnotiziealgheroCulturaArteIncartati alla Bonaire Contemporanea
Cor 5 dicembre 2023
Incartati alla Bonaire Contemporanea
Sabato 9 dicembre alle ore 18.00 la galleria Bonaire Contemporanea in via Principe Umberto, 39 ad Alghero inaugura la mostra di arte contemporanea Incartati di Silvia Cara, Gianni Nieddu, Danilo Sini, Giorgio Urgeghe. A cura di Ivo Serafino Fenu
<i>Incartati</i> alla Bonaire Contemporanea

ALGHERO - Edgar Degas considerava il disegno come «l'espressione più diretta e spontanea dell'artista, una specie di scrittura», capace di rivelare, «meglio della pittura, la sua vera personalità» e, se lo diceva lui, uno dei maggiori disegnatori del passato, c’è da credergli. Del resto, tale forma d’arte, che nella carta trova il suo supporto elettivo, ha sempre goduto, tra gli artisti e nel mondo della critica d’arte, di uno status speciale, privilegiato. Se per Leonardo il disegno era, anzitutto, uno strumento conoscitivo e di indagine della natura, non si tarderà ad affiancarlo, in età controriformistica, alla Teologia, paragonandone il processo creativo alla “speculazione divina”, all’invenzione dell’universo da parte di un Dio creatore di forme e colori, così come l’artista, attraverso il disegno, prodotto della mente e della sua facoltà inventiva, trova scaturigine e guida sicura per la pittura e la scultura.

Degas – che supera i confini di ordine puramente razionalistici o di natura teologica – pare intuire, invece, che nel disegno vi sia una dimensione più profonda, quasi istintuale e magmatica, capace di disvelare l’individualità dell’artista: un’anticipazione dei cadavre exquis dei surrealisti, nutritisi alla fonte della psicanalisi freudiana e fautori, in arte, di complessi e sorprendenti processi di automatismo psichico, atti a far emergere dal profondo perturbanti zone d’ombra, individuali e collettive. In tale dimensione, tra detto e non detto, tra pulsioni insondate e bagliori di razionalità altrettanto inquietanti, si muove la mostra INCARTATI, che vede come protagonisti quattro artisti, Gianni Nieddu, Danilo Sini, Giorgio Urgeghe – che con la pratica disegnativa hanno una lunga militanza e una vera e propria affinità elettiva – e la giovanissima Silvia Cara, a far da contrappunto visivo e tematico. Tutti e quattro, seppure con linguaggi differenti, sono consapevoli del valore fondante del bozzetto artistico nei suoi diversi gradi di complessità, nella sua capacità di essere una sorta di imago animae: l’inizio di un sogno, talvolta di un incubo, verso percorsi imprevedibili.

Gianni Nieddu estrapola, da una installazione realizzata per il Museo Organica di Tempio Pausania e dal titolo Taglia Unica, alcune carte con interventi disegnativi e pittorici raffiguranti trote che, pur differenti nella loro livrea, sono accomunate da una dimensione più o meno simile, circa 29,94 cm. Opere che si caratterizzano per severità, naturalezza e profondità tipiche della pittura zen. Tuttavia l’artista – tra i maestri della grafica contemporanea – non rinuncia al suo approccio fortemente concettuale: la taglia unica è per quelle trote d’allevamento un traguardo e, insieme, una condanna a morte, un numero che uniforma le diversità e che determina un obbiettivo dall’esito fatale e irreversibile in una chiara allusione alla schedatura di massa, al controllo sociale, alla violenza sull’individuo scientemente pianificata di una società apparentemente distopica quanto immanente.

La serie di carte Coronadrawings – realizzate da Danilo Sini durante il periodo di confinamento pandemico, nate in cattività, in una casa che, improvvisamente, è diventata prigione e “non luogo” fisico e mentale – trovano un ulteriore e perturbante sviluppo nella serie scimmiepoggiate/scimmiesospese/scimmiecadute. Si tratta, in realtà, di esseri ibridi disegnati con una biro, acquerellati con caffè e marchiati con mercurocromo, in bilico tra una dimensione morbosamente domestica e un’alienante laboratorio di ingegneria genetica. Caratterizzati da una sensualità prorompente e minacciosa, gravidi, alieni con le loro protrusioni tentacolari, danzano un sabba orgiastico e vitalistico al contempo, rivelandoci la genesi innaturale della stirpe ibridata dei bambinitopolini dipinti dall’artista agli inizi del XXI secolo.

Alla dimensione dell’automatismo psichico pare facciano riferimento, invece, le carte di Giorgio Urgeghe. Fogli sparsi, spesso distanti nel tempo ma non nella prassi operativa che sembrerebbe un vero e proprio regressus ad uterum, una scrittura automatica per immagini tracimante da un immaginario semplificato e “antigrazioso” in una sorta di incontrollato horror vacui. Formalmente contiguo al linguaggio infantile o a quello degli alienati mentali, quello di Urgeghe è, tuttavia, un “brutalismo” solo in apparenza irrazionale e la folla di personaggi violenti e aggressivi, l’affastellarsi di improbabili oggetti e/o progetti in fieri, rivelano un’incontenibile esuberanza creativa e, insieme, una precisa mappatura interiore, per non perdersi nella nebbia.

Infine Silvia Cara, che in mostra crea un contrappunto visivo anzidetto, una liaison necessaria ad amalgamare i linguaggi affatto differenti dei tre artisti anagraficamente più maturi. Le carte, ora disegnate con pastelli a olio o ad acquerello, ora frutto di collage o impresse mediante cianotipia, sono letteralmente invase da piccoli omini, che conferiscono alle singole tavole un ritmo interno pulsante, frenetico, a prima vista casuale ma, in realtà sapientemente calibrato che fa il paio col più ampio ritmo cromatico determinato dall’accostamento e dalla composizione delle diverse tavole. L’artista – forte della sua giovane età ma consapevole di vivere incartata in una dimensione nella quale i concetti di massa e individuo confliggono – produce un sorprendente arabesco contemporaneo in linea con le più avanzate ricerche di certo graffitismo metropolitano e ci ricorda che, in fondo, un disegno altro non è che «un’idea con intorno una linea» (Bruno Bozzetto).
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