S.A.
30 ottobre 2023
Riso: cresce la produzione in Sardegna
Una produzione in crescita che si dovrebbe attestare, secondo le stime dell’Ente nazionale risi, intorno ai 280mila quintali raccolti su una superficie di circa 3800 ettari: per il 90% prodotti nel distretto di Oristano e per la parte rimanente nell’area di San Gavino Monreale
ORISTANO - La stagione risicola appena conclusa ha segnato per la Sardegna una produzione in crescita che si dovrebbe attestare, secondo le stime dell’Ente nazionale risi, intorno ai 280mila quintali raccolti su una superficie di circa 3800 ettari: per il 90% prodotti nel distretto di Oristano e per la parte rimanente nell’area di San Gavino Monreale. Ad aiutare questo risultato è stata sicuramente una condizione climatica particolarmente favorevole che ha accompagnato il ciclo produttivo fino alle ultime fasi della raccolta, in chiusura questi giorni. Anche per il 2023 si conferma inoltre il trend di crescita regionale delle superfici coltivate, che va avanti da qualche anno, con un aumento di oltre 100 ettari.
Uno stato di salute del comparto sardo in netta controtendenza rispetto a diversi settori agricoli, che pagano sempre di più la crisi climatica in corso e le sue innumerevoli variabili. Segnali positivi giungono anche dal mercato nazionale dove l’Italia si conferma in cima ai paesi produttori dell’Unione europea con poco meno di 210mila ettari di superfici coltivate soprattutto tra Piemonte (circa il 50% di tutta Italia), Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Sardegna, Campania e Calabria. Nonostante l’Isola non raggiunga in termini quantitativi il 2% del dato nazionale riesce comunque a ritagliarsi una specificità dovuta a una straordinaria qualità del prodotto finale e anche del riso da seme.
Una caratteristica dovuta alle condizioni meteo-climatiche che permettono una crescita delle piante con poca umidità e quindi non condizionata da malattie fungine, dovuta a una costante ventilazione assicurata soprattutto dal maestrale, a cui seguono anche ridotti trattamenti agro-sanitari nei campi. Le superfici a riso coltivate in Sardegna superano quelle dei nuovi mercati emergenti dell’est europeo dove la Romania, con 3200 ettari, e l’Ungheria, con 2000, si stanno affacciando verso queste nuove colture già da qualche decennio, soprattutto dopo l’arrivo in quei paesi di diverse aziende italiane del settore.
La qualità delle produzioni nazionali e sarde e la concorrenza sui mercati globali è tuttavia condizionata dall’import che giunge nell’Ue dai giganti asiatici del settore mondiale: capaci di portare sui banchi dei consumatori del pianeta l’89,6% del riso, dove la Cina raggiunge il 28,3% e l’India il 23,8%. Un dato impressionante che, insieme a un bassissimo costo della manodopera, a livelli di sicurezza sul lavoro quasi inesistenti, a un uso di prodotti agro-sanitari vietati dalle norme europee e a particolari accordi dedicati ai paesi in via di sviluppo, bussa sempre più forte alle porte dei dazi messi a difesa dei risicoltori dell’Unione europea.
«Il confronto con i mercati globali è sempre più impegnativo sul piano della concorrenza dei prezzi finali di vendita del riso. È vero, la nostra qualità è decisamente più alta, ma molti consumatori non sono spesso nelle condizioni di valorizzare i prodotti di eccellenza con prezzi di vendita che devono essere per forza più alti». Lo ha detto Tonino Sanna, risicoltore e presidente di Confagricoltura Oristano, che ha aggiunto: «È necessario aumentare i controlli dei prodotti in arrivo in Europa, fare azioni di lobby nei paesi asiatici affinché siano banditi certi prodotti chimici dalle lavorazioni agricole e affinché si rispettino le condizioni e i diritti dei lavoratori, mettendo al bando lo sfruttamento della manodopera soprattutto minorile. Ecco che indirizziamo il nostro appello alla Regione e al Governo affinché si facciano ambasciatori di queste rivendicazioni a Bruxelles».
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