Carlo Mannoni
21 marzo 2022
L'opinione di Carlo Mannoni
Maria Pia, paesaggio, beni culturali e usucapione
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. Comincerei con i versi di Giovanni Pascoli per commentare la recente sentenza, ecco la novità, sulla complessa vicenda delle usucapioni da parte di privati di alcuni terreni e fabbricati comunali nell’area di Maria Pia ad Alghero, richiamata in un comunicato dal collettivo algherese Malcomune di ResPublica. Di antico c’è invece la politica cittadina, da sempre costretta a inseguire questa o quella proposta di privati senza affrontare in una visione unitaria, come soggetto di governo di un territorio prevalentemente di proprietà pubblica, il tema della destinazione urbanistica del delicato compendio che, con la sua fascia dunale e lo stagno, costituisce il naturale raccordo naturalistico tra la città e il Parco di Porto Conte. Prima di esaminare la sentenza, ricordiamo che il complesso di Maria Pia fu ceduto al Comune di Alghero dall'E.T.F.A.S. con atto del 4 luglio 1970 in base alla legge 28.3.1968, n. 421 che, nell’autorizzare l’alienazione del bene, fece “salvo il vincolo di cui alla legge 29.6.1939, n. 1497 sulla protezione delle bellezze naturali” insistente sull’area. In base a tale vincolo, il compendio pubblico è oggi un bene paesaggisticamente protetto nella sua unitarietà e fa parte del complesso dei “beni paesaggistici” regionali.
Una porzione di detto territorio - corrispondente alle “Stalle della regina” nella ex colonia penale di Cuguttu - è stata inoltre ulteriormente tutelata dal Segretariato regionale del Ministero dei beni culturali per la Sardegna che, col decreto del 18 luglio 2017, l’ha riconosciuta come “bene culturale” ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Tali premesse sono quantomai necessarie per affrontare il tema della recente sentenza della Corte di cassazione, pubblicata lo scorso 24 dicembre, che la politica locale è sembrata ignorare. Tale sentenza, intervenuta dopo i pronunciamenti del Tribunale civile e della Corte d’appello, entrambi favorevoli ai privati in tema di usucapione acquisita, hanno ribaltato le decisioni dei giudici di primo e secondo grado stabilendo l’inalienabilità e l’inusucapibilità di tali aree in quanto facenti parte del “demanio comunale”. Come si è arrivati a tale decisione che mette al riparo, d’ora in poi, le proprietà comunali di Maria Pia da possibili cause di usucapione, consolidando la natura pubblica di tali aree e dei relativi immobili? Il punto di partenza è l'art. 2 del decreto legislativo n. 42 del 2004 che stabilisce che i “beni culturali”, ovvero “gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico”, e i “beni paesaggistici” formano il “patrimonio culturale” e, qualora di appartenenza pubblica, costituiscono il “demanio culturale” per la loro destinazione “alla fruizione della collettività”. In quanto beni demaniali (statali, regionali e degli enti territoriali) “sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi”, compresa l’usucapione (articolo 823 del codice civile). Nel decidere, i giudici della Corte di cassazione sono stati critici con quelli della Corte d’appello che, nella sentenza del 27 ottobre 2016, avevano negato la demanialità del compendio pubblico di Maria Pia e conseguentemente riconosciuto l’intervenuta usucapione di tali beni a favore di terzi. Per la Cassazione, i giudici d’appello non avevano tenuto conto, nel decidere, dell’esistente vincolo paesaggistico richiamato dalla legge autorizzativa della vendita del 1970. La Corte d’appello è la stessa che con una sentenza fotocopia del 14 febbraio 2020 ha riconosciuto, in un analogo caso, l’intervenuta usucapione a favore di alcuni privati di una casa di abitazione, delle cosiddette “Stalle della regina” e di un galoppatoio.
Che ne è stato di questa seconda sentenza che, qualora sottoposta al vaglio della Cassazione su ricorso del Comune, sarebbe stata inevitabilmente “cassata” come la precedente del 2016? Per di più in tale pronunciamento la Corte d’appello era incorsa in un ulteriore errore valutativo, disconoscendo l’importanza determinante, riferita al fabbricato denominato “Stalle della regina”, della sua natura di “bene culturale” riconosciutagli col decreto del 18 luglio 2017 del Segretariato regionale del Ministero dei beni culturali per la Sardegna. È ben noto alla giurisprudenza che il riconoscimento di un bene paesaggistico o culturale ha carattere ricognitivo e non costitutivo, nel senso che si riconosce al bene una qualità da sempre posseduta (paesaggistica o culturale), rendendolo quindi inusucapibile se di proprietà pubblica. Ebbene, parrebbe che il ricorso non sia stato presentato e che il Comune abbia preso per buona la sentenza della Corte d’appello. Quali le ragioni di tale scelta? Perché non è stato proposto appello in Cassazione alla sentenza del 14 febbraio 2020 così come fu fatto per quella del 27 ottobre 2016, fotocopia della prima? Intanto i relativi beni sono già passati di mano e il nuovo imprenditore acquirente ha già presentato, come suo diritto, un piano di valorizzazione imprenditoriale degli stessi. Così ad Alghero abbiamo un caso di scuola tra gli unici in Italia: un bene appartenente al demanio comunale è stato “privatizzato” a prezzo zero ed è entrato in commercio come un qualsiasi bene disponibile del Comune. C’erano una volta due beni, si racconterà un giorno. Il seguito è storia di questi giorni.
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