Sara Alivesi
15 giugno 2021
Ousmann e Marco, fratelli in bianco e nero
Un ragazzo africano arriva in un centro per migranti ad Alghero e diventa il migliore amico di un rugbista professionista che lo fa entrare in squadra e poi insieme aprono una palestra in piena pandemia. Una storia che racconta il riscatto sociale, lo sport, la famiglia e l'amicizia
ALGHERO - Black e White (Academy) è il nome di una palestra aperta a marzo in piena pandemia ma questa è solo la fine (o il nuovo inizio) di una storia che è iniziata ad Alghero qualche anno prima. Una bella storia a colori: quelli del riscatto sociale, dei sogni che si realizzano, dello sport che unisce, della famiglia che ti scegli, del lavoro che ti crei, dell'amicizia vera. I protagonisti sono Ousmann e Marco, rugbisti e personal trainer molto conosciuti in città e con due vite così diverse da potersi solo sfiorare al loro primo incontro. C' è un ragazzo senegalese arrivato in un barcone dalla Libia per cercare un destino migliore e sistemato a Santa Maria La Palma in un centro per i migranti. Ce n'è uno nato a Parma ma gira l'Italia e il mondo come rugbista professionista fino a che un infortunio lo fa tornare dall'Australia e arriva alla corte del presidente Badessi che lo convince in due giorni a firmare con gli Amatori e diventare il trascinatore nei campi di Maria Pia.
Ousmann, invece, in quel campo viene portato da una referente del programma di accoglienza, va a vedere gli allenamenti perché gli manca il suo sport, la lotta senegalese in cui non perdeva una partita nel suo Paese. Ma il rugby è molto altro che contatto e la prima volta che Marco lo fa giocare pensa che quel ragazzo non riuscirà mai a tenere una palla in mano e ad abituarsi alle tante regole di questa disciplina. «Fisicamente era superiore a tutti, lo volevo integrare nel gruppo ma non pensavo potesse farcela, e poi sbagliava anche i giorni perché non parlando ne italiano ne inglese non riuscivamo a capirci!» scherza Marco nel ricordo dei primi tempi. Però non aveva fatto i conti con la testa, la volontà e la testardaggine di questo giovane africano: «dopo la pausa estiva al primo giorno di preparazione atletica lo trovo là, non solo non ha sbagliato giorno ma è il primo a presentarsi in campo». Resterà un suo marchio di fabbrica, primo ad arrivare e ultimo ad andare via, non salta una seduta, si impegna senza riserve e alla fine si conquista un posto in squadra in una partita contro il Sondrio dove non solo gioca finalmente da titolare ma viene scelto come uomo partita per la sua prestazione.
Quella maglia gli è rimasta addosso, ad entrambi, che insieme riportano l'Amatori in serie A tre anni fa, e da cinque la formazione algherese si conferma la terza realtà sportiva della Sardegna dopo il Cagliari Calcio e la Dinamo Basket. Il rugby è quello sport dove ci si scontra ma dopo la fine della partita ci si incontra al Terzo Tempo: i giocatori delle due squadre si riuniscono, si offrono da bere e da mangiare e dimenticano le schermaglie e l'agonismo di qualche minuto prima sul rettangolo di gioco. Si può dire che il Terzo Tempo fra Ousmann e Marco non è mai finito. Da quei primi allenamenti dove gli sembrava di stare in una Torre di Babele cercando una lingua conosciuta ad entrambi, sono passati anni, trasferte, vittorie e sconfitte ma sempre uno vicino all'altro. «Mio padre aveva in Africa il suo migliore amico cristiano e anche il mio destino era di trovarne uno» è una delle poche cose che diceil senegalese durante l'intervista. Preferisce ascoltare emozionato e sorridente i racconti di Marco. Come quando in una vigilia di Natale poco prima di cena si incontrano in una città deserta e il capitano lo porta a casa sua e da allora non ci saranno più Natali separati. O quando gli chiede di diventare il padrino di suo figlio perché l'amicizia supera anche gli integralismi religiosi. O quando scelgono uno dopo l'altro di diventare personal trainer e iniziare un'attività tra lockdown e zone rosse che si sono succedute per un anno e mezzo. «Ma non chiamatelo business, questa è la nostra passione, è la nostra vita, è la nostra famiglia».
PS. Ho tentato di non scrivere una storia strappalacrime ma solo una bella storia. E' speciale come attraverso di essa si possa parlare di razzismo e integrazione senza nominarli, di lavoro e opportunità senza farne una questione politica, di sport aldilà dei risultati. E' emozionante ascoltare un racconto e tentare di scegliere le parole migliori affinché quella stessa o altre emozioni si riesca a trasmetterle, a farle arrivare a chi le legge.
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