Carlo Mannoni
23 novembre 2020
L'opinione di Carlo Mannoni
L’amore negli squilli tra Alghero e la Liguria
“Giaccio da solo nella casa silenziosa, la lampada è spenta… mai avrei immaginato che fosse tanto amaro essere solo, essere solo e senza di te!”, scriveva García Lorca in una poesia alla sua amata lontana. Al distacco dei loro corpi, gli innamorati e gli amanti hanno supplito, nel tempo, in vario modo. Con le lettere, innanzitutto. Scriveva Vadlimir Nobokov alla moglie Vera “Sì, ho bisogno di te, mia fiaba. Perché tu sei l’unica persona con cui posso parlare dell’ombra di una nuvola, del canto di un pensiero e di come, quando oggi andavo a lavorare, guardavo un alto girasole che mi sorrideva con tutti i suoi petali”. Poi è arrivato il telefono, e quando questo si è diffuso capillarmente nella società, l’amore ha intrapreso i suoi percorsi via etere soppiantando il gesto romantico della lettera rosa imbucata dalla mano amata. Percorsi dapprima semplici, fatti di sole parole, di frasi interrotte dall’emozione e dai sospiri; poi sempre più complessi e articolati, con le mail e i primi messaggi sino ad arrivare alle foto e ai video trasmessi via byte. Oggi con Skype e Whatsapp gli innamorati lontani hanno modo di parlarsi e vedersi in diretta, di far quasi l’amore virtualmente dando nuovo calore ed energia al loro rapporto. Un altro mondo rispetto alle poesie di García Lorca e alle lettere di Nobokov e mentre i nobili scritti di cotanti personaggi fanno parte, oggi, della letteratura mondiale che non ha perso il suo splendore d’origine, i video che gli ex innamorati e amanti si sono scambiati nei momenti felici del loro rapporto, finiscono molto più prosaicamente, in taluni deprecabili casi, nel “revenge porn” in cui è quasi sempre la donna a farne le spese.
“Marco, ma mi ami? Ma quanto mi ami? Mi senti? Ma quanto mi senti?”, sospirava nel 1990 al telefono la famosa ragazzina al suo boyfriend nello spot ‘Sip avviso di chiamata’. Poi si sentiva il segnale di una chiamata in arrivo e lei, sospendendo la telefonata (“Scusa, un’altra telefonata, aspetta!”), si rivolgeva in contemporanea ad un altro ragazzo in linea: “Ciao Andrea! Mi ami? E quanto mi ami?”. Poi tornava al suo Marco. “Pronto Marco, mi ami ancora? Si ma, tanto quanto?”. “Ma quanto mi costi”, rispondeva fuori campo nella battuta popolare il genitore di turno rassegnato. Sembra ieri, ma sono passati circa trent’anni e la telefonia, rispetto ad allora, è un’altra cosa e la concorrenza, una delle poche volte che ha funzionato nel nostro Paese, ha reso il servizio telefonico realmente democratico e accessibile a tutte le classi sociali.
Oggi la coppia di innamoratissimi amici poco più che ventenni (lei di Alghero, lui ligure), incontrata nel porto di Genova nel lontano 1972 allo sbarco dei passeggeri dalla nave proveniente da Porto Torres (lei aveva raggiunto il suo ragazzo per il fine settimana), non avrebbe i problemi di allora, quando le telefonate interurbane costavano l’ira di Iddio e il solo scatto alla risposta ti metteva in ansia. “Ci sentiamo nei giorni festivi”, mi confessarono, “quando le tariffe sono dimezzate. Negli altri giorni non è assolutamente possibile. Però diamo concretezza ai nostri reciproci pensieri con un nostro speciale artificio”. Alla mia richiesta di spiegazioni, piuttosto incuriosita, mi risposero che si chiamavano due volte al giorno in ore prestabilite, lasciando che il telefono squillasse per un po’ senza sollevare la cornetta. Era il segno tangibile e gratuito del loro amore ed ogni squillo esprimeva passione, tenerezza, carezze e dolci parole, persino i loro sospiri. Un artificio che ha funzionato più che bene, segno di un amore saldo durato per sempre. Quei giovani ragazzi, ora mature persone come chi scrive, potrebbero essere chiamati a rappresentare brillantemente, in uno spot di indubbia efficacia, come erano e come sono oggi i ragazzi, nella lontananza, davanti all’amore.
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