Gianluigi Piano
30 ottobre 2019
L'opinione di Gianluigi Piano
Meno province, penalizzate le comunità locali
Il referendum abrogativo del 2012 che ha portato alla cancellazione delle Province fu la conseguenza di un lungo e articolato dibattito e di una scelta, più emotiva che ragionata, frutto di un clima di disaffezione diffuso e generalizzato verso le istituzioni. Le vicende successive, a distanza di qualche anno, hanno dimostrato che la scelta referendaria, oltre a dimostrarsi inapplicabile, ha comportato un fardello di problematiche legate alla cancellazione del livello intermedio che nelle sue funzioni assolve un compito fondamentale: quello di fare sintesi dei bisogni della comunità e tradurli in programmazione sociale ed economica permeata delle specificità del territorio. Le vicende successive hanno restituito ruolo e funzione alle Province, seppure in un quadro semplificato, che non trova soddisfazione nelle istanze che vengono da territori come la Gallura, l’Ogliastra, il Sulcis e il Medio Campidano, che richiedono una particolare forma di tutela e rappresentanza locale le cui ragioni fondanti di carattere storico, culturale, geografico, economico e sociale non sono qui in discussione. Infatti, alla luce delle condizioni date, non si sono verificati i miglioramenti auspicati, ma anzi si sono penalizzate le comunità locali, in quanto private di quel livello intermedio nella funzione pubblica, tra Regione e Comuni, capace di intercettare i bisogni di un’area vasta e tradurli in azione amministrativa per il loro soddisfacimento.
E’ venuta a mancare cioè quella funzione deputata alla programmazione degli interventi in ambito sovracomunale, mirata ed efficace, che solo l’ente Provincia era ed è in grado di assicurare. Per inciso, giova ricordare che in ambito di spesa pubblica le province incidono l’1,73percento, essendo così ripartita la spesa: 141miliardi lo Stato, 182 le Regioni e ben, si fa per dire, 11miliardi le Province. Le proporzioni e valutazioni sono facili da dedurre. Oggi, purtroppo, una visione centralistica e centralizzata di organizzazione del sistema Regione, lontana dalle pulsioni autonomistiche basate sul principio di sussidiarietà e decentramento amministrativo, che rischia seriamente di tenere le Istituzioni lontane ancora di più dalle periferie, condannandole all’abbandono e vanificando ogni speranza di sviluppo economico, sociale e demografico da tempo auspicati. Siamo invece convinti che una nuova Provincia del Medio Campidano, la cui dimensione è tutta da definire, se istituita in una rivisitata visione moderna, dotata di efficaci strumenti utili all’assolvimento di questa funzione pubblica, può costituire certamente il motore dello sviluppo locale.
A questo proposito, è importante rilevare come già da tempo nel Medio Campidano è in corso una attenta riflessione da parte di tutti: sindaci, amministratori e parti sociali, per individuare quale deve essere la forma migliore per garantire uno sviluppo armonico e duraturo. Riflessione avviata con iniziativa pubblica l’8 ottobre a Barumini, che ha visto una vasta partecipazione di tutto il territorio. Nessun territorio deve restare indietro, questo per creare le condizioni di uno sviluppo equilibrato in tutta l’Isola; il Medio Campidano è un territorio che, soprattutto in questi anni, ha visto acuirsi la crisi economica. I nemici si chiamano disoccupazione, dispersione scolastica e spopolamento. Quest’ultimo dato è tra i dati più preoccupanti, sempre in crescita e, dopo i piccoli Comuni, sta colpendo anche i Comuni più popolosi. Il Medio Campidano non può essere lasciato solo, tutte le azioni di riforma che si faranno lo devono vedere protagonista nelle scelte che hanno ricadute nel territorio.
* consigliere regionale Partito democratico
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