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Luciano Deriu 22 ottobre 2019
Catalani in prigione, canto delle Mondine
Il canto delle mondine italiane preso a prestito della resistenza al sopruso, all’arroganza del potere. Deve ascoltare l’Europa. È nata per questo per trovare soluzioni pacifiche tra i popoli, non solo per tenere sott’occhio le banche. L'indipendentismo è una lunga storia di autogoverno, inclusivo, non xenofobo, né egoista, ma pluralista.
Catalani in prigione, canto delle Mondine

A Barcellona, tra le file dei resistenti catalani, più che inni nazionalisti, si sente il canto globalizzato di “Bella Ciao”. Prima d’essere adottato dai partigiani, era il canto delle mondine italiane contro i soprusi dei padroni, quelli novecenteschi dalle “belle braghe bianche“. Era già allora un canto di resistenza e oggi accompagna la lotta contro la condanna dei parlamentari catalani. Perché la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo è stata una violazione dei diritti umani: di riunione, di espressione, di manifestazione collettiva delle idee e perfino di giusto processo. Un atto irresponsabile che ha innescato rivolte che oggi seguiamo con apprensione. Perché la violenza porta violenza. E sono già entrate in scena armi pesanti che feriscono e i feriti sono già centinaia.

La sentenza, per essere emessa dal potere giudiziario (pur se di nomina politica), è palesemente contraddittoria. Emette dure condanne. Ma non può negare la verità, affermando che non c’è stato attentato alla Costituzione, non colpo di stato, non secessione, nel qual caso le pene sarebbero arrivate all’ergastolo. Non erano golpisti i condannati, ma mandanti di una manifestazione referendaria non autorizzata. E allora tutti possono vedere la sproporzione delle pene verso donne e uomini pacifici che non hanno commesso violenza. Gli stessi che il primo ottobre del 2017, mentre i mossos bastonavano duro, incitavano a non reagire. “Non reagite, non reagite!”.

La questione catalana è questione storicamente complessa e diversamente interpretata. E non è nuova, è secolare, perché la Catalogna era una grande realtà mediterranea assai prima della formazione della Spagna e ha conservato una sua alterità: di storia, di modi di vivere, di fare cultura e economia. C’è chi la legge come una questione di ricchi egoisti che vogliono tenere per sé le proprie risorse, non dividendole con nessuno. È uno stereotipo. La comunità catalana è europeista, pluralista e inclusiva. Da secoli i catalani anelano a una maggiore autonomia e indipendenza di gestione economica e culturale. E non possiamo dimenticare la storia. Quando nel Settecento l’autonomia di quel popolo fu schiacciata nel sangue da un borbonico re francese. Lo stesso che poi occupò con la forza anche Alghero per qualche anno.

Una condanna come “mandanti morali” di una consultazione popolare illecita si configura come una condanna per reato d’opinione e non può non chiamare in causa la comunità internazionale. In questi mesi in Europa e in molti stati membri della UE è in corso una profonda svolta di riconversione ecologica. Ma l’Ecologia non attiene solo agli sconvolgimenti climatici, ma anche agli sconvolgimenti umani e sociali, che avvelenano la pace tra i popoli. Missione dell’Unione è quella di intervenire nelle conflittualità tra comunità europee, favorendo la soluzione dei problemi con il dialogo e il confronto. I nostri amici ecologisti con cui abbiamo condiviso tante battaglie, ora membri del Parlamento italiano a cui stanno a cuore la difesa dei diritti e la coesione tra i popoli, devono mettere in atto ogni azione per portare la questione catalana davanti alla Commissione Europea.

Quello che chiedo, come ecologista “storico” e come algherese, cittadino di una città che per affinità di lingua e cultura, mantiene legami di amicizia con la Catalogna, è di farvi parte attiva presso i gruppi parlamentari europei, perché la Commissione si esprima su questo grave atto di violazione dei diritti e favorisca l’avvio di un dialogo serio e costruttivo. Senza un dialogo immediato e un possibile indulto per i prigionieri politici, l’imminente campagna elettorale rischia di svolgersi in un clima di guerra, avvelenato dal risorgente nazionalismo di Vox e del suo leader pistolero che ha vinto le elezioni in Andalusia, caricato a bomba contro la Catalogna, dalla debolezza dell’attuale premier e dal risentimento catalano. L’Unione Europea ha una grande occasione per dimostrare che è Europa dei popoli.



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