Red
31 maggio 2019
Giorgio Urgeghe a Casa Manno
Domenica sera, è in programma l´inaugurazione della mostra “Di coso in cosa”, a cura di Mariolina Cosseddu, all´interno di Casa Manno per il Contemporaneo ed organizzata con il patrocinio del Comitato locale della Società Dante Alighieri
ALGHERO - Domenica 2 giugno, alle 18, è in programma l'inaugurazione della mostra “Di coso in cosa”, a cura di Mariolina Cosseddu, all'interno di Casa Manno per il Contemporaneo ed organizzata con il patrocinio del Comitato locale della Società Dante Alighieri. L'allestimento sarà visitabile fino a lunedì 17 giugno nei giorni di apertura del museo (venerdì, sabato, domenica e lunedì, dalle 16 alle 20, con ingresso ad offerta libera.
«I singolari personaggi che animano questo versante del lavoro di Giorgio Urgeghe – spiega Cosseddu - vanno letti, oltre che in una prospettiva storico-artistica, in una chiave intimamente personale. Sono, in qualche modo, una sorta di metafora del suo stare al mondo, di pensare gli accadimenti e le circostante della vita attraverso la lente dell’ironia, feroce e dissacrante, più prossima al tragico che al riso. Creature amorfe, strutturate su corpi contratti, rinsecchiti o goffamente espansi, mostrano espressioni umane, stati d’essere inquieti, sgraziati e quasi irritanti. Appartengono ad una specie biomorfa, che fonde aspetti di tenera bestialità con motivi di elementare vissuto di bisogni primari, perciò recalcitrano, defecano, aggrediscono, irridono, sfuggendo così ad ogni possibile definizione. I “cosi” di Giorgio Urgeghe sono figure aliene di un immaginario lunatico e irrequieto, se non fosse che, a ben guardare, possiedono una natura più vera e convincente di quanto non si creda. Apparentemente indifesi aggrediscono per non essere aggrediti, giocano per sfuggire alla presa, arretrano impauriti davanti ai coccodrilli. Ad un mondo di coccodrilli. Come quelli grondanti colore che aspettano il visitatore al piano terra di “Casa Manno”. Ciascuno ha in se una sua narrazione, un suo piccolo microcosmo possibile, una gamma infinita di eventualità. Tutte da inventare e dove il destinatario può azzardare le ipotesi che meglio crede».
«Prendono vita così oggetti animati, embrioni zoomorfi e organismi unicellulari sospesi in spazi imprevisti, in composizioni sbilenche e disorientanti. Da cercare discretamente camuffati negli spazi del museo. A guardarli attentamente – prosegue la curatrice della mostra - ci soggiogano con la natura maldestra del loro essere e si capisce allora che rappresentano uno scarto poetico rispetto all’ovvietà dei linguaggi mimetici, alla banalità della norma: un grado zero dell’istintività, di fatto una condizione primordiale che, contaminata da una vasta cultura del visibile del loro autore, produce un iconismo di grande sensibilità lirica nell’apparente sgradevolezza della forma. Giorgio Urgeghe ha ideato dunque un’iconografia propria, originale e riconoscibile, che gli appartiene intimamente e che non ha parentele dirette con nessun altro. E nonostante tutto ci chiediamo: siamo di fronte ad un fondo oscuro e primigenio della coscienza o al frutto di un immaginario infantile riaffiorato nella condizione dell’arte? Certo, questo fare istintivo e barbarico, selvaggio e sfacciato, dice in maniera sofferta la dimessa rivolta dell’artista, il suo disaccordo con la realtà, la disarmonia con l’esistente. Ne discende l’impossibilità di un discorso grammaticalmente corretto e ragionevole, così come il rifiuto dell’accettazione passiva del tutto: lo sconfinamento nel grottesco diventa inevitabile. Persino necessario. I colori accesi oltre ogni limite, accostati nello stridore di toni o leziosi come un giardino d’infanzia, dicono la natura allucinata del loro stato sbilenco e bidimensionale, cosi e cose maldestramente sospesi nel vuoto della tela libera. E d’altra parte non possono che annaspare su materiali leggeri e maneggevoli come le tele grezze, da lasciar pendere sulle pareti o in qualsiasi altra forma purchè non sia quella di una costrizione dentro una patetica cornice».
«Anche quando sembrano imbrigliati entro piccoli supporti, (al primo piano dello spazio museale) guardate bene, non si adattano, fuoriescono e i confini appaiono inutili. In questa commedia umana declassata a bestialità si intravvedono, in controluce, inevitabili aspetti dell’arte europea moderna e contemporanea che chiama in causa graffitismi urbani così come motivi dell’arte pop e, ancora, forme dei videogiochi e dei cartoon fino a intercettare la forza comunicativa degli emoticon digitali. In questa oscillazione tra cultura alta e bassa, tra irriverente gioco infantile e svelamento dell’inconscio, Giorgio Urgeghe sfugge, come i suoi anarchici e insolenti protagonisti, a qualsiasi registro linguistico codificato, svincola come un’anguilla da un eventuale imbrigliamento storicistico. Nella ironica leggerezza di un gioco che diventa crudele l’artista sembra ricordarci che forse vale la pena non prendersi troppo sul serio. Perché, a ben guardare, quegli strani e, in fondo, innocenti esseri stralunati ci sono familiari, con il rischio di rispecchiarci in loro», conclude Mariolina Cosseddu.
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