Tonio Mura
28 gennaio 2018
L'opinione di Tonio Mura
Ricci di mare, servono scelte radicali
A proposito della raccolta dei ricci di mare un dato è certo: la materia prima comincia a scarseggiare (secondo un rapporto di Laore se ne prelevano oltre 32 milioni di esemplari/anno). Ne è convinta la Regione, che attraverso l'assessore di competenza ne ha ridotto i tempi, gli orari e le quantità di raccolta. Ne sono convinti i pescatori professionisti, che hanno concordato con la Regione le nuove regole. Non va meglio per gli abusivi, sottoposti ad un regime di sanzioni sempre più severe. La verità è che tali provvedimenti sono tardivi e che neppure queste misure basteranno a ripopolare di ricci i mari della nostra isola. Per contro aumenta la schiera dei consumatori, anche adesso che i costi del prodotto sono notevolmente aumentati. La direzione è tristemente segnata e senza interventi di tutela, fra qualche decina di anni, i ricci di mare saranno una rarità. Già oggi il semplice consumatore fa fatica a recuperare il prodotto, quasi tutto destinato alla ristorazione, e quando ci riesce purtroppo si affida ai pescatori abusivi, talvolta senza alcun riguardo della pezzatura o del luogo di raccolta. Ne consegue che pur di avere il prodotto non si fa più caso alla qualità o alle poche misure di tutela attualmente in vigore.
Così quello che una volta era considerato "il caviale dei poveri" rischia di essere inserito nell'elenco delle forme di vita in estinzione! Una cosa che non possiamo assolutamente permetterci, anche in ragione del fatto che l'ecosistema marino ha bisogno del riccio di mare, più di quanto possa averne bisogno l'essere umano per nutrirsi. Bisogna allora chiedersi cosa si sta facendo per salvaguardare la sopravvivenza del riccio di mare nel suo ambiente naturale, senza per questo danneggiare i professionisti (pescatori, ristoratori, venditori ambulanti ecc.) del settore. Risposta: poco e niente! Al di là di qualche intervento normativo insufficiente a preservare la risorsa, il tutto è ampiamente trascurato o, che è peggio, abbandonato al suo infausto destino. Sempre il rapporto di Laore parla della mancanza di forme di monitoraggio per una più attenta rilevazione del rapporto tra sostenibilità ambientale e prelievo intensivo dei ricci. Eppure una qualche via d'uscita promettente pare esserci, anche se può funzionare solo in presenza di una forte volontà politica (sino ad oggi è mancata) e contrastando ogni forma di abusivismo.
Ovviamente bisogna pensarci con molto anticipo e non a ridosso della stagione della raccolta, con una pianificazione almeno triennale. Fatta salva la regola che il riccio sottotaglia non va raccolto, bisogna individuare vaste aree da destinare al ripopolamento prima e alla raccolta dopo. L'interdizione dovrebbe durare almeno tre anni, affinchè un numero ragionevole di ricci raggiunga la piena maturità, e va associata al divieto di pesca sia professionale che sportiva. Tali aree vanno usate a rotazione, affinchè tutte possano usufruire di un fermo triennale. Unica attività consentita lo snorkeling, accompagnati da una guida, così da attivare una forma indiretta di controllo della riserva, da associare a quelle istituzionali. Tale esperimento è stato condotto in Francia, e trova riscontro in uno studio del Dipartimento di scienze zootecniche dell'Università di Sassari nell'Aria marina protetta Capo Caccia-Isola Piana. Per dirla in breve: aumenta il numero di ricci per metro quadro, aumenta la dimensione (1/3 in più rispetto ai ricci che crescono in zona di prelievo), aumenta la quantità di biomassa commestibile.
Altre ricerche si sono indirizzate alla riproduzione e all'allevamento dei ricci, e una esperienza significativa in tal senso è stata avviata anche dall'Università di Genova e di Cagliari. Tra gli elementi critici emersi risaltano la qualità del mangime e la crescita, piuttosto lenta, del riccio. Dal mangime (o dieta artificiale) dipendono la quantità e il sapore della polpa di riccio (gonadi), che il consumatore vuole il più vicino possibile al sapore del prodotto naturale. La crescita decisamente lenta invece va ad incidere sul costo finale del prodotto. Si tratta poi di definire meglio tutti i fattori che permettono di realizzare il passaggio dall'allevamento a terra (fase iniziale) a quello a mare, realizzando un'operazione chiamata restocking e volta a ripristinare l'ecosistema marino dove i ricci vivono, specialmente là dove il prelievo ha ridotto fortemente la presenza dell'echinoderma. Gli stessi estensori della ricerca parlano di una pratica dell'acquacoltura dei ricci di mare (echinocoltura) ancora estremamente poco sviluppata (se non per niente sviluppata) ma sicuramente utile per porre fine allo sfruttamento incontrollato della risorsa e per evitare quanto è successo in alcune parti dell'Australia, della Norvegia e della California, cioè la desertificazione dell'habitat naturale dei ricci.
Per ora lo schiuditoio sperimentale dell'Università di Cagliari è in grado di produrre poco più di 100 mila giovani ricci/anno, neanche lo 0,50% dei ricci prelevati ogni anno dal mare sardo. Da quanto esposto si deduce che il sistema delle limitazioni fatte a sentimento non funziona, e non funziona neppure l'affidarsi alla esperienza dei pescatori professionisti, considerato che ormai alcune zone di mare sono completamente ripulite dai ricci. Chi ha la mia età sa perfettamente che i ricci si raccoglievano da terra, usando una semplice canna. Oggi i pescatori di ricci si recano nelle zone di raccolta in barca e con le bombole, rendendo estremamente efficace l'operazione di prelievo. Di fatto la scogliera più prossima alla riva mostra segni di depauperamento spaventoso, mentre qualcosa di decente continua a sopravvivere ad una certa profondità e lontano dalle zone antropizzate.
Se non si vuole rischiare un fermo totale della raccolta del riccio di mare (come è accaduto per altre specie, ad esempio le patelle), andando a incidere negativamente sulle economie che il prodotto è in grado di generare, compresa la ristorazione, è giunto il momento di fare delle scelte radicali. La prima: istituire le zone di ripopolamento a rotazione. La seconda: investire nella ricerca, affinchè dalla sperimentazione si passi a pratiche di allevamento tecnologicamente avanzate e sufficienti a ridurre il gap tra la richiesta di polpa di riccio e la disponibilità di prodotto. Orientare inoltre la pratica della raccolta verso forme di prelevamento sostenibile e, nel contempo, specializzare e potenziare la marineria interessata a questo tipo di pesca, anche per ridurre le forme di abusivismo e l'attacco di predatori diversi dall'uomo. Solo a queste condizioni il settore può crescere e trasformarsi da una forma di integrazione del reddito in vero e proprio lavoro a tempo pieno. Mi piacerebbe che a cogliere queste occasioni fosse il nostro Comune, per il legame che esiste tra la sua gente e il consumo di ricci di mare e per rivitalizzare la Sagra del riccio, dando una più compiuta prospettiva economica a tutto il settore. Proporsi capofila di una iniziativa del genere, oltre a sottolineare una certa sensibilità verso le questioni di sostenibilità ambientale, traccia una linea tra il prima e il dopo, tra il pressapochismo e la pianificazione degli interventi, perchè la filiera del riccio non si interrompa a causa della mancanza di materia prima. Oltre a promuovere il nostro mare e uno dei prodotti migliori che esso produce.
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