6 dicembre 2016
Sardegna in salsa “trumpiana"
E se il travolgente “no“ della Sardegna somigliasse al voto per Trump dell’America profonda? Il voto di pancia chiesto da Grillo invece che il voto di testa chiesto da Renzi. E fra i commentatori più o meno interessati comincia a farsi strada l’idea che il risultato del referendum contenga anche un giudizio contro la giunta di Francesco Pigliaru. Ma si tratta di una falsa prospettiva: in realtà sono stati troppi, con il senno di poi, i passi falsi della strategia di Renzi che hanno portato alla sconfitta del “si”. Proviamo a ragionare senza preconcetti…
Siamo al senno di poi… Che si sa è uno dei metodi più adatti a scrivere la storia costruita sui fatti, su come le cose sono andate per davvero e non come si vorrebbe che fossero state per ragioni politiche, ideologiche e financo etiche. Così ci viene spontaneo consigliare oggi a Matteo Renzi di rileggersi la storia degli Orazi e dei Curiazi. Brevemente: ai tempi di Tullio Ostilio, il terzo dei sette re, nello scontro quasi fratricida fra Roma e Albalonga, perché entrambe condividevano la discendenza da Romolo, si decise di far combattere i tre rampolli dei Curiazi contro altrettanti Orazi. Come è andata a finire ce lo ha raccontato Tito Livio: nel primo scontro due Orazi rimasero sul terreno. Il romano sopravvissuto invece di farsi uccidere cominciò a scappare. Una strategia ben congegnata: in questo modo riuscì ad affrontare uno a uno i tre Curiazi, isolandoli e vincendoli e quindi dando la vittoria a Roma.
Leggendo i risultati del Referendum confermativo della Riforma costituzionale, si capisce che Renzi non ha letto lo storico latino, Livio appunto. E così invece di lasciare i suoi nemici irreversibilmente separati, li ha uniti su un solo fronte con l’idea che la forza della sua proposta politica, rappresentata dalla madre di tutte le riforme, la riforma del sistema politico italiano attraverso una revisione della Costituzione. Ma tutto questo nel voto non si vede. Perché Renzi è riuscito ad arrivare al punto di scontro proponendosi di sconfiggere tutti gli avversari. Da solo. Anzi con il solo aiuto di Verdini e Alfano che invece, come era prevedibile, si sono rivelati una remora, anzi due, frenando il progetto di un Pd ben radicato a sinistra ma capace di trovare consensi anche alla sua destra, spingendo quindi una parte dei democratici a votare “no“ in nome di una verginità politica da preservare dal contagio ideale prima che ideologico. Il fatto che Renzi non si sia preoccupato di egemonizzare il partito di cui è segretario ha giocato un ruolo simbolico che si è tradotto in un devastante risultato numerico.
Gli elettori di ciascun gruppo, movimento o partito si sono riconosciuti nella indicazione di voto negativa, bocciando così una riforma fondamentale per il futuro del paese, al solo scopo di ridimensionare il potere di un leader che fino a oggi aveva rappresentato il volto nuovo, moderno e concreto della storia politica italiana. Tutto l’elettorato della destra non si è vergognato di votare con tutto l’elettorato di sinistra ed entrambi non si sono preoccupati di votare insieme agli elettori dell’antipolitica, i grillini del M5S. Non sapremo mai chi ha detto a Renzi che il massimo dell’affluenza avrebbe dato alle esigue schiere del “si” il voto degli indecisi un bacino enorme che avrebbe portato a Renzi quel consenso elettorale seppure indiretto di cui aveva bisogno. Certo anche questo errore va messo nel conto. La trasmigrazione non ha funzionato. La scelta è stata sempre non solo politica ma addirittura partitica. Anzi di fazione come nel caso di Bersani e D’Alema. Che dopo essersi fatti scippare il partito, dal loro punto di vista, facendo saltare il referendum ora provano e riprenderselo.
Un esame a caldo dei flussi elettorali (consigliamo di consultare le analisi postelettorali dell’Istituto Cattaneo di Bologna), ci porta a constatare come l’elettorato del Pd e dei partiti strutturati come Forza Italia o Sinistra Italiana, si sia dimostrato più flessibile rispetto alla fedeltà granitica nel “no” di chi ha votato per M5S alle ultime politiche. Un esame più attento dei profili sociali che hanno determinato la strepitosa vittoria del “no” fornisce indicazioni da non sottovalutare per chi cerchi di interpretare il futuro con occhi sgombri dai preconcetti. Scopriamo così che il voto giovanile si è tutto schierato dalla parte della protesta negativa. E anche il volto dell’universo sindacale ha confermato la sua frattura con il progetto Renzi. Diciamo che Renzi ha perso proprio fra quelle categorie che in America hanno dato il successo a Trump. Non è una consolazione, per Renzi.
Come scrive appunto l’Istituto Cattaneo: «Il problema del Pd nelle periferie, sia geografiche che “sociali”, era già emerso chiaramente nelle elezioni amministrative del 2016: nel territorio, il partito di Renzi aveva perso progressivamente contatto e consenso negli strati sociali più deboli, appartenenti a quel “ceto medio impoverito” di cui stanno discutendo in questi giorni analisti e commentatori». Il voto in Sardegna conferma la caratura politica e sociale della vittoria del “no”. Che va al di là di ogni interpretazione numerica. Che ha portato a un’alleanza di fatto fra gli elettori di Berlusconi e gli operai dell’Alcoa. Che ci dice quanto il voto sardo sia stato il più “trumpiano“ d’Italia. A pagarne le conseguenze potrebbe essere proprio i Pd renziano di Francesco Pigliaru. Ma questa è un’alttra storia su cui varrà la pena presto ritornare.
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