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22 agosto 2016
Corso Cossiga, una strada per la storia
Intitolando a Francesco Cossiga una strada al centro di Sassari il sindaco Nicola Sanna ha dato simbolicamente il via alla storicizzazione della sua figura politica, proprio mentre sta per essere pubblicato il diario quotidiano del settennato e un vasto carteggio con Giulio Andreotti. Pubblichiamo la versione integrale del discorso tenuto da Pasquale Chessa, curatore scientifico dell’archivio Cossiga. Archivio che gli specialisti della Camera dei deputati hanno appena finito di ordinare
Corso Cossiga, una strada per la storia

Ai posteri l’ardua sentenza, diceva Manzoni in morte di Napoleone. Per Francesco Cossiga sembrava invece che i posteri non dovessero arrivare mai! La memoria che Cossiga ha lasciato di sé, infatti, sopravvive costretta alla eterna attualità, senza riuscire a depositarsi nel passato ed essere quindi giudicata con gli strumenti della ricerca storica. Per decidere se e come passare alla storia! L’inaugurazione di Corso Cossiga a Sassari, voluta dal sindaco Nicola Sanna, il 17 agosto, sembra segnare un punto di passaggio, di svolta per la vicenda storica dell’ottavo presidente della Repubblica. E proprio partendo da quella esperienza, dai traumi politici che ha lasciato, che Cossiga è stato intrappolato in una immagine divisiva. Quasi fosse stata tutta responsabilità di Cossiga la fine della Prima repubblica: che fosse stato Cossiga a distruggere il sistema dei partiti degenerato nella “partitocrazia”, a far scomparire Pci e Dc le due colonne su cui poggiava l’architrave della Repubblica fin dai tempi di Togliatti e De Gasperi. Se invece cerchiamo di valutare il pensiero e l’azione di Cossiga politico delle istituzioni, l’immagine del riformatore prende il sopravvento sulla figura del picconatore.

L’invenzione del Piccone. L’11 di novembre del 1991 la metafora nasce per genesi spontanea quando, durante la presentazione del libro Cossiga uomo solo, scritto da Paolo Guzzanti per Mondadori, rispondendo alle sollecitazioni dell’editorialista di Repubblica, Mario Pirani, il presidente constata e teorizza: le “picconate“ servono per rifondare, facendo tabula rasa del passato, l’intero sistema del potere repubblicano. La metafora presenta inaspettate valenze culturali e ideali e tocca l’immaginario civile: profonda è la relazione che “Piccone” stabilisce con “Palazzo”, la sineddoche usata da Pier Paolo Pasolini per definire il luogo deputato del potere in tutte le sue forme e ramificazioni e mercificazioni. Attraverso quali suggestioni subliminali, il Pasolini “corsaro” sia da considerare l’ispiratore inconscio delle incursioni del Cossiga “picconatore”, è groviglio che a partire da oggi si può cominciare a studiare e cercare di sciogliere. È sufficiente ora constatare la contiguità, nonostante siano passati più di 15 anni dall’agosto del 1975, con il «Processo alla Dc» istruito da Pier Paolo Pasolini dall’esterno del Palazzo sulle pagine del Corriere della Sera contro la stessa Dc messa sotto accusa da dentro il Palazzo del Quirinale, il più alto del potere repubblicano. L’attestazione politica del “piccone” e dei suoi derivati, fa diventare Cossiga un “picconatore”. La diffusione della metafora cossighiana infatti, trova una legittimazione immediata domenica 17 novembre quando il verbo «picconare» figura sulla prima pagina di Repubblica nell’editoriale con cui Eugenio Scalfari spiega, denuncia e svela come dietro il comportamento «eccentrico» del capo dello Stato si nascondano «caratteristiche eversive, da lui medesimo rivendicate e pubblicamente conclamate». Sui giornali del 24 alla metafora del “piccone” si aggiunge, appunto, la figura dell’impeachment, (si traduce imputazione), presa di peso dalla giurisdizione americana che l’ha ampiamente sperimentata nel caso Watergate di Richard Nixon. Cossiga, con uno scarto da cavallo di razza, risponde con prontezza con una richiesta paradossale ma affatto banale: si autodenuncia, chiedendo alla magistratura, che gli sia contestato il reato di cospirazione politica in relazione alla scoperta di Gladio, la struttura della Nato che doveva entrare in funzione nel caso di un’invasione comunista dell’Italia. Il giorno è ben scelto, il 26 novembre, Nel profondo della sfera simbolica collettiva, in cui i parlamentari del Pds si riuniscono per decidere sull’impeachment. Si oppone Giorgio Napolitano e il suo gruppo, li chiamano «miglioristi». Non sono pochi, almeno 37, ma finiscono in minoranza.

I due Cossiga erano uno solo. In un libro che uscirà alla fine di settembre, l’ambasciatore Ludovico Ortona, che fu capo dell’Ufficio stampa del Quirinale, pubblica il diario giorno per giorno di tutto il Settennato, questo passaggio si può osservare in presa diretta. Infatti il libro si intitola “La svolta di Cossiga“. Son assolutamente d’accordo sul paradigma elaborato da Ortona. Ma niente di più convenzionale nella narrazione del tempo, la vulgata del Cossiga grigio notaio della vita politica italiana vista con distacco e timore dal Colle più alto e quindi lontano. Così li abbiamo visti sulla scena, e lo stesso Cossiga ha coltivato questa scissione fra essere e apparire, ma è proprio il diario di Ortona che, fin dal principio, ci mostra una presidenza politicamente attiva, intenta a definire e ridefinire tutti i poteri che la Costituzione attribuisce al Quirinale… Un piccolo elenco indica un Cossiga superattivo. Poche settimane dall’insediamento si trova alle prese con la prima crisi di governo Craxi, per via delle turbolenze interne provocate dalla crisi internazionale nata con il sequestro della nave da crociera Achille Lauro a opera del terrorismo palestinese, l’assassinio del cittadino americano di origine ebraica, Leon Klinghoffer, il confronto armato fra il reparto della Delta Force e il carabinieri nella base di Sigonella in Sicilia, le trattative telefoniche con George Bush, la consegna all’Egitto dei terroristi palestinesi… Cossiga partecipa con riservatezza. Risolve la crisi con prontezza. Evita di farsi impantanare nelle strategie dilatorie di De Mita. Appena un mese dopo, si apre un aspro conflitto con il Consiglio superiore della magistratura, che vorrebbe censurare il Presidente del Consiglio Craxi per le sue critiche alla sentenza per l’omicidio del giornalista Walter Tobagi, vittima dei terroristi di Prima Linea, fra cui anche il figlio di Carlo Donat Cattin. Ecco i due punti di frizione permanente lungo tutto il settennato: da una parte la rivendicazione dei poteri costituzionali del Quirinale e dall’altra la funzione del Csm, organo di alta amministrazione e non organo politico della magistratura. Il presidente della Repubblica è anche presidente del Csm. La tesi della svolta, che pure Ortona registra con i dettagli della cronaca vissuta, pronta già a diventare storia, pur confermata nella sequenza evenemenziale, non corrisponde a una scissione formale dei comportamenti di Cossiga. C’è piuttosto una sfumatura caratteriale. Nella sostanza il «notaio», «l’uomo delle regole» interviene con altrettanta forza e determinazione del «picconatore». Ecco la più grande riforma politica delle istituzione realizzata da Cossiga: Si tratta di una “Riforma Materiale”, come diceva il grande giurista costituente Costantino Mortati, parlando degli usi politici e delle consuetudini istituzionali che finivamo, interpretandole alla lettera, di modificare con la pratica le regole scritte. È proprio questo ciò che ha fatto Cossiga interpretando alla lettera i poteri del Quirinale e il suo ruolo istituzionale. Dopo Cossiga il Quirinale, ha acquisito una sorta di extraterritorialità politica, facendosi garante delle regole e della correttezza politica di partiti, in una nuova sintonia con l’opinione pubblica… Senza Per dire, senza Cossiga l’azione di correzione della politica sia con Scalfaro che con Ciampi e soprattutto con Napolitano non sarebbe stata nemmeno pensabile. Non si può prescindere dalla cultura politica di Cossiga per disegnare il suo ruolo nella storia d’Italia della seconda parte del Novecento. Il tratto del cattolico liberale, riformista, attento all’idea che non ci può essere contraddizione fra i principi cristiani e i principi di libertà politica… Non è per vezzo culturale che si sentiva in problematica sintonia con la figura storica di Tommaso Moro, che considerava un suo maestro ideale il cardinale John Newman… Per Moro si impegnò fino al punto di imporre in collaborazione con Giovanni Paolo II, la sua figura come Santo protettore dei politici. La sua memoria strabiliante talvolta sminuiva la sua poliedrica versatilità: sapeva di questioni militari, non sfigurava a parlare di teologia (lo faceva con Ratzinger), vantava una solida competenza nella dottrina politica (l’Università di Sassari lo ha insignito infatti della laurea honoris causa)…

Il messaggio alle camere. In tempi recenti, la figura di Cossiga riformatore della Repubblica è stata illuminata da Sabino Cassese in un saggio scientifico e tecnico (“Riforme istituzionali e disciplina della politica”, edito da Giuffrè, appunto) dove considera il messaggio alle camere di Cossiga sulle Riforme costituzionali, «uno dei documenti più impegnativi e approfonditi … di riformare le istituzioni politiche italiane. Può essere considerato l’ultimo solenne appello alle forze politiche dell’epoca per superare divisioni interessi contingenti in nome di una maggiore efficienza e legittimazione democratica dell’ordinamento della Repubblica». Cossiga aveva percepito la mutazione del contesto internazionale (non solo la fine della Guerra Fredda, ma la crisi dell’Urss), la crisi della moralità della Repubblica emersa per la decisa azione dei giudici di Mani Pulite). C’è nel messaggio alle camere una tensione ideale su cui è strutturato una sorta di sistema nervoso capace di governare e organizzare armoniosamente l’intero processo riformatore. Perché tale fu Cossiga in senso politico. Nel senso che seppe usare la politica nella sua prospettiva storica con lo scopo di cambiare il corso del presente che si trova a governare di volta in volta. Cossiga ha sempre avuto la straordinaria capacità di individuare i passaggi cruciali della politica locale, nazionale e internazionale (i tre ambiti vanno sempre visti insieme, in stretta relazione fra loro), quasi immaginandone gli esiti storici. Tornando indietro cronologicamente alla stagione di Cossiga Presidente del Consiglio, basterebbe la vicenda dell’installazione dei missili Cruise a Comiso nel 1979. Una decisione presa dal vertice di Guadalupe. L’Italia ne era stata esclusa. Uno smacco che Cossiga riuscì a trasformare in uno straordinario successo di politica internazionale decisivo per la storia del mondo intero. Gli Stati Uniti di Carter pretesero che l’Europa riequilibrasse gli SS20 sovietici. La Germania si dichiarò pronta ad ospitare gli euromissili di medio raggio. Serviva un altro paese di rango. Cossiga schierò l’Italia in prima linea. Gardner da Roma mise in allarme Washington sulla opposizione del Pci di Berlinguer. Alla fine anche Gardner fu silenziato: i due cugini, u partioclare molto importante per gli americani, raggiunsero un accordo: il Pci avrebbe fatto una opposizione dura in parlamento ma non sarebbe sceso in piazza, saldandosi e dando forza ai movimenti pacifisti. In cambio i governo Cossiga non avrebbe posto la fiducia. Ora si può dire, col senno di poi che è anche l’intelligenza della storia, che in quel momento comincia la crisi del sistema, il roll back del blocco comunista. Con la pubblicazione del diario di Ludovico Ortona i posteri hanno la possibilità di mettere a punto la loro sentenza su Cossiga. Partendo dalle sue stesse parole: «Dopo di me la presidenza della Repubblica non sarà più quella di prima. Io ho dato al sistema picconate tali che non possa essere restaurato ma debba essere cambiato. Tutti i miei atteggiamenti da matto erano voluti. Siamo nella società dello spettacolo, e io ho dovuto fare così per superare il “muro di gomma” e far passare il mio messaggio: l’urgente necessità delle riforme».

La centralità di Sassari. Per Cossiga è un dato della sua antropologia culturale che non possiamo tralasciare, arrivati fin qui. La strada che la sua città gli ha dedicato porta il suo nome proprio fino all’angolo con via Asproni, dove abitava, dove si trova al chiesa di San Giuseppe snodo cruciale dell’impegno politico di quella stagione della Democrazia Cristiana che ha influenzato la democrazia cristiana della Sardegna e anche quella nazionale. Non indulgerò però nell’aneddotica. Quindi non mi addentrerò negli aspetti della vulgata favorita dallo stesso Cossiga grande orchestratore dell’opinione giornalistica, uno scienziato naturale nei territori della comunicazione politica, sia scritta che televisiva (per capire cosa voglio dire suggerisco a chi ne abbia voglia di rivedere, c’è ancora su You Tube la famosa intervista a Chiambretti). Non cercherò nemmeno di stabilire nessi fra la “cionfra” sassarese con la predisposizione naturale di Cossiga alla satira politica. E nemmeno sulla sua inclinazione fare della sardità uno scudo caratteriale: quando la discussione si accendeva fra noi, soprattutto ai tempi della collaborazione per l’ultimo libro, Gli italiani sono sempre gli altri, mi diceva con tono di sfida: pensa che qui in Italia pensano che noi due siamo dello stesso posto. Si riferiva a un attacco di Scalfari che aveva preso di petto una intervista a Epoca, notando la identità regionale dell’intervistatore e dell’intervistato, presentata con un titolo di copertina persino troppo spregiudicato per un presidente: «Macché pazzo, sono solo sardo e testardo», Scalfari aveva sentenziato contestando l’idea della Grande Riforma delle istituzioni, come «Gollismo in sardo». Insomma, tutto questo per dire che se non ho finora parlato di Sassari non è per caso. E non è nemmeno una dimenticanza. Senza capire infatti Sassari non si può capire Cossiga. Ne sono convinto. Quindi ho voluto arrivare alla fine proprio per ripartire dall’inizio. C’è un brano che ho ritrovato fra i miei appunti, tratto dal memoriale Moro, che vorrei qui citare come una summa della biografia politica di Cossiga: «Ha fatto presto tutto, il deputato, il Sottosegretario alla Difesa, il ministro in dicasteri di organizzazione dello Stato, fino a pervenire, con me Presidente, al Ministero degli Interni quale eredità del Sottosegretariato alla Difesa tenuto in precedenza. … si è parlato di un suo accesso, sia pure ad interim, alla presidenza del Consiglio, qualora, come qualcuno pensava, avessi dovuto assumere la presidenza della Camera, lasciando nelle sue mani la Presidenza del Consiglio … Era quindi, in assoluto, considerato idoneo ad una simile successione. Si può dire, in certo modo, uno specialista di questioni militari e dell'ordine pubblico, ma insieme anche un buon conoscitore dello Stato ed un riformatore coraggioso, anzi, a mio avviso, quando ne ero Presidente del Consiglio, anche troppo coraggioso. Figlioccio e prediletto del Presidente Segni, ne seguì a lungo, affettuosamente la vicenda politica, ma non mancò di correggerlo, quando occorreva (ed occorreva) in senso progressista. Come gruppo interno si trovò così (ma la cosa non è innaturale) da doroteo che era basista e tale è ancor oggi considerato, cioè come fortemente spostato a sinistra. Di derivazione sarda ed imparentato con Berlinguer, ha la sua base elettorale e psicologica».

Tre lettere ad Antonio Segni. Ho trovato in queste parole di Moro l’eco di un piccolo epistolario, una ventina di lettere fra Cossiga e Antonio Segni, lettere riemerse dall’Archivio Cossiga, che figureranno nello studio di Salvatore Mura, per la biografia del primo presidente della Repubblica proveniente da Sassari. La prima del 30.11.63 Segni Ministro degli Esteri informa Cossiga di essere intervenuto presso Aldo Moro per far entrare al governo Salvatore Mannironi. Ma dice Segni, «credo che la partita sarà difficile. Io credo che dovrebbe accettare di fare il sottosegretario in un ministero importante» E così sarà. In quella lettera Segni però si pone il problema Cossiga: «E per te? Ne ho già parlato a diversi: cosa vorresti fare tu» E lo invita alla Farnesina per parlarne. Il contesto ci fa capire cosa sta succedendo: Segni cerca in tutti i modi di impedire la nascita del primo governo di centrosinistra con Moro e Nenni vice. Ma non si considera sconfitto. Anzi. Cossiga in qualche modo è un punto di riferimento per la partita che si giocherà qualche mese dopo con la elezione di Segni al Quirinale.
In un’altra lettera, Cossiga profittando di una vacanza di Segni, si perita di scrivere una vera e propria relazione politica su tutte le questioni della politica sarda. «La campagna elettorale si sta arroventando. I comitati civici di Cagliari hanno posto il veto su Nino Giagu perché di sinistra ed in parte anche su Paolo Dettori. Gullotti mi ha detto che dai colloqui avuti a Cagliari ha tratto l’impressione che io sia considerato poco meno (parole testuali) che una quinta colonna comunista in seno alla Dc». Ma colpisce nell’incipit della lettera, che Cossiga si lasci andare a una puntuta presa in giro di Gronchi che reggerebbe il paese con un Granducato Appare chiaro insomma il ruolo di primo piano di Cossiga. Di fronte agli attacchi contro la corrente di Cossiga che aveva stravinto le elezioni dentro il partito a Sassari contro un esponente del partito di Segni, il famoso Antonio Campus, Nino che di Segni era cugino, in una terza lettera Cossiga difende tutto il suo gruppo con una determinazione che sorprende visto lo scarto fra le due personalità e il potere che rappresentano. Cossiga sembra intimare a Segni un ultimatum: «Con assoluta sincerità le dirò che se domani “i Giovani turchi” che io ho guidato e direi inventato, dovessero essere attaccati, spesso con accuse ingiuste e ingenerose, da persone sul cui attaccamento aiu nbostir valori ho molto da dubitare io sarò con loro…» Cossiga spiega a Segni che quella è la nuova classe dirigente della Dc, (Giagu, Dettori, Pala, Soddu… sono i nomi che ricorrono) pur con le «limitazioni della giovane età, su cui si potrà sempre contare»… Segni deve aver capito. Sarà presto Presidente della Repubblica. E il lavorio di Cossiga dentro il parlamento non fu ininfluente.

Per concludere. Non è perciò un caso se l'intitolazione di nuova strada di Sassari coincide non solo con l’uscita del Diario del Settennato di Ludovico Ortona, ma anche con la pubblicazione del primo volume di un vasto epistolario di Cossiga con Giulio Andreotti depositato negli archivi dell’Istituto Sturzo. Ma soprattutto voglio ricordare che presto sarà inaugurato l’archivio Cossiga che gli archivisti della Camera dei deputati hanno appena finito di ordinare. La storia a questo punto anche per Cossiga può cominciare a fare il suo corso naturale.



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